Backstage|| Hell Raton.

By itsluceeeeeee

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Non tutte le storie sono destinate a durare in eterno, ma qualcuna forse sì. Jenny è tornata da Los Angeles... More

Prologo.
Cap. 1
Cap. 2
Cap. 3
Cap. 4
Cap. 6
Cap. 7
Cap. 8
Cap.9
Cap.10
Cap. 11
Cap. 12
Cap. 13
Cap. 14
Cap.15
Cap. 16
Cap. 17
Cap. 18
Cap.19
Cap. 20
Ciao!

Cap. 5

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By itsluceeeeeee

- Come scusa?- spalancai gli occhi. Manuel non poteva davvero essersi tramutato in un essere capace di così tanto egoismo nel giro di qualche settimana.

Rimasi immobile sul posto, come gelata dalla sua richiesta singolare e paralizzata dal suo sguardo che mi scrutava sospeso, in attesa di una mia risposta.

Dapprima mi portai le mani tra i capelli, poi morsi il labbro inferiore con aria diffidente. Doveva sicuramente esserci qualcosa sotto, un particolare che mi era sfuggito; rimuginai sulla possibilità di lavorare di nuovo assieme, vicini, respirare la stessa aria viziata in una stanza chiusa ed essere chini sullo stesso spartito con le spalle che si sfiorano impercettibile magari.

Subito ne scartai l'immagine che la mia mente agognante di contatto con lui si era creata come per torturarmi con scenari fin troppo utopistici per i miei gusti e, con le dita piegate sui fianchi, speranzosa che leggesse il disappunto nel linguaggio del mio corpo, scossi la testa.

Manuel, che non aveva proferito parola, fece un passo nella mia direzione - una canzone, una soltanto. Starò alle tue condizioni e se ti sembrerà troppo sbagliato...- fece, inclinando il mento verso l'alto; i suoi occhi si ridussero a due fessure strette e mi fissarono come per soggiogarmi, sorvolando la mia intera figura - se vorrai smettere in qualsiasi momento, allora sarà finita. -

Sentivo le gambe tremare incessantemente, temevo che le ginocchia avrebbero ceduto da un momento all'altro, i miei muscoli incapaci di sorreggere il peso che mi premeva sul petto e gravava su tutto il resto del mio corpo. Le spalle si incurvarono senza che potessi decidere arbitrariamente di mantenerle in posizione eretta e boccheggiai lentamente, ricercando un segmento d'aria che non aspergesse il profumo deciso di Manuel e l'ombra austera delle sue domande.

- Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?- bisbigliai. Un bagliore gli attraversò gli occhi, veloce come il pungolo dell'incertezza sulle sue labbra quando, sentendosi in colpa, le umettò con la lingua. Vi passò poi i polpastrelli,
accarezzando lentamente la pelle rossa e l'accenno di barba che incorniciava quella curva perfetta.
Bastò quel breve movimento per accendere un fuoco al centro del mio stomaco, perché questo crepitasse lungo le mie braccia e premesse i suoi tizzoni incandescenti sulle mie guance.

- Sì, capisco il tuo punto di vista - dichiarò calmo, piegando la bocca in un piccolo sorriso di sbieco. Doveva essersi accorto del mio sguardo che deliberatamente accarezzava ogni angolo del suo viso, sostituendo le mie dita adesso bloccate nelle tasche dei jeans.

Scossi la testa, obbligandomi a concentrarmi sulla fantasia scura del marmo che pavimentava il corridoio - non credo che tu capisca, onestamente- lo redarguii quieta - altrimenti non me lo avresti chiesto -

- Jenny, non sono impazzito - ammise - so quanto sia difficile per te avermi attorno - aggiunse poi. Chiuse gli occhi e sfregò il palmo della mano contro il viso, poi sulla fronte tesa.

Le sue parole mi colpirono così forte che pensai si fossero tramutate in un reale spostamento d'aria, che mi investì e si sferrò come uno schiaffo freddo contro il viso.
Più entravo in contatto con l'individuo che mi stava difronte e più la sua glaciale compostezza rendeva difficile credere che quello fosse davvero il mio Manuel e che adesso fosse totalmente immune alle mie preghiere silenti e alla disperazione struggente che mi seguiva come un'aura scura.

Con la punta delle dita strinsi con forza il ponte del naso, così che la pressione potesse fermare le lacrime che scalpitavano contro le mie iridi ormai umide. Non avrei pianto davanti a lui che si mostrava così impassibile.
Mi schiarii la voce e aprii gli occhi con uno scatto - è davvero triste che per te non sia la stessa cosa - borbottai, la voce rotta e arrochita dal morso dei singhiozzi.

Manuel scosse la testa e fece per avvicinarsi, ma io fui svelta a respingerlo. Alzai la mano e la bloccai all'altezza del suo petto, premurandomi di non indulgere nei miei stimoli e toccarlo.
- Non è quello che intendevo - confessò poi, avvolgendo le dita attorno al mio polso.
Spinse il mio braccio lungo il fianco, senza mollarne la presa intorno.

Io sbuffai e mi divincolai con più violenza - dev'essere davvero divertente ammirare da vicino i frutti del tuo lavoro - lo schernii - vedere come ogni giorno mi spengo sempre un po' di più per colpa tua. Se ancora hai un po' di rispetto per me, almeno lascia che lo faccia di nascosto -

****

Vagai per le strade di Milano fino a perdere la cognizione del tempo. In macchina, con la luce fioca dei fari che illuminava l'asfalto scuro e le nuvole pesanti di smog che coloravano il cielo tumultuoso di un rosso scuro.
Non sapevo dove andare, ero solo sicura che tornare a casa non avrebbe fatto altro che dare spazio ai miei pensieri per affogarmi e debilitarmi con la loro foga violenta. Così continuai a guidare, anche se non avevo mai amato farlo di notte con il buio che sfocava la vista e ingannava i sensi.
La radio era al massimo e una canzone che non conoscevo risuonava nell'abitacolo; in una situazione normale mi sarei premurata di scegliere accuratamente la musica, per abbinarla con minuzia al momento e perché si sposasse con la lugubre poesia dell'oscurità fredda di metà gennaio e il profumo del vento che faceva stridere gli alberi lungo i guardrails, ma non quella volta.
Non riuscivo a comprendere le parole del brano, né mi soffermai sulle note accattivanti del motivo per cercare di trarne ispirazione, tanto mi sentivo vuota e smarrita.
Persa perché stavo percorrendo una strana che non conoscevo e non sapevo come tornare a casa, non solo metaforicamente.

Notai una spia accendersi sul lunotto e accostai, muovendomi lungo una piazzola di servizio. Inserito il freno a mano poggia la testa sul volante e, con la mano stretta a pugno, sferrai un colpo contro il cruscotto.
-Merda- imprecai, stringendo le dita contro L'incavo del braccio. L'impatto con il vetro freddo aveva fatto si che divenissero scure e si congestionassero, iniziando a dolere.
Controllai ancora la piccola luce accesa e sgranai gli occhi. Nella foga di allontanarmi il più possibile dallo studio non mi ero ricordata di mettere benzina e adesso il livello di carburante era sceso ben sotto al limite della riserva.
- Cazzo, cazzo- esalai frustrata e mi guardai attorno per poi afferrare la borsa con forza e posarmela in grembo.
Recuperai il cellulare e, composto il numero di Mika, inizia ad attendere mordicchiando l'unghia del pollice.

Il mio amico rispose dopo pochi squilli - Jennifer we need to set some boundaries here - fece, probabilmente dopo aver controllato l'orario sul display del cellulare - hai idea di che ore siano?- domandò difatti - sono sotto le coperte e sto guardando Friends, qualsiasi cosa sia sei davvero sicura che non possa aspettare fino a domani?-
Alzai gli occhi al cielo, tuttavia mi ritrovai a pensare di non poterlo biasimare. Più e più volte nel corso delle ultime settimane avevo stravolto la sua routine e forse era davvero arrivato il momento che ricominciassi ad essere indipendente, ignorando la terra che sembrava aprirsi sotto ai miei piedi ogni volta che provavo ad andare avanti.
- Giuro che non ti avrei chiamato se non fosse stato estremamente urgente- lo implorai.
Lui sbuffò e, con un fruscìo, mosse il copriletto. Lo sentii imprecare e poi sedersi - che succede questa volta? In che guaio ti sei cacciata? - chiese.
- Non fare domande, ti prego- mormorai esausta e, inoltrata la mia posizione mi appiattii contro il sedile - e porta una tanica di benzina -

****

- You owe me! - fece Mika, imboccando il viale di casa mia - you owe me big times!- i suoi occhi chiari mi fulminarono, redarguenti e duri - ma cosa ti è saltato in testa? Cristo Jennifer! Sei così irresponsabile! -
Io mi strinsi nelle spalle, scivolando lungo la seduta in pelle della sua auto - okay, non è stato il mio momento migliore ma non c'è bisogno di reagire così- mormorai con un filo di voce, sperando di stemperare quell'infinità ramanzina.
Mika però scosse la testa e, parcheggiatosi difronte al mio portone, si voltò verso di me -you need, must, get your shit together- mi rimproverò - cosa avresti fatto se non avessi risposto al cellulare? Se il carro attrezzi non fosse arrivato? Mh? Ti sembra divertente? - continuò, allungando l'indice contro il mio petto - sei un'adulta Jennifer e come tale non puoi permetterti certi colpi di testa. Dio, mi hai fatto preoccupare così tanto! -
L'ilarità che avevo provato riflettendo sulla scena dall'esterno si trasformò ben presto in senso di colpa e consapevolezza. Il mio amico aveva ragione, tuttavia non riuscii ad aprire bocca ed esprimere il mio assenso tanto il suo sfogo mi aveva colta alla sprovvista.
Mika si portò le mani sul viso, massaggiando le tempie con la punta delle dita - questa storia deve finire, io sono esausto Jennifer. Domani ti accompagnerò a prendere l'auto e poi dovrai promettermi di ricominciare a comportarti come un essere umano. D'accordo? -

****

- Wow, oggi qualcuno è di cattivo umore - rise Thomas, seduto difronte a me dal lato opposto della lunga scrivania nell'ufficio di suo padre.
A quanto pare essere figlio del produttore aveva i suoi privilegi, come quello di poter sgattaiolare nella grande sala principale e lavorare lontani da occhi indiscreti.

Alzai il capo e lo guardai di sbieco - questa canzone è così banale - ammisi, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
C'era di più dietro al mio modo di fare mesto e stanco, come ad esempio essere rimasta bloccata in super strada nel bel mezzo della notte.

Thomas si mosse dalla sedia e mi raggiunse posizionandosi alle mie spalle. Le sue mani vi si poggiarono mentre, con la coda dell'occhio ripercorreva le parole scritte sul foglio - dunque - iniziò poi, avvicinandosi al mio orecchio - beh, sì hai ragione. Voglio dire "mi hai spezzato il cuore e ci hai camminato sopra"? Quante volte hai già sentito questa frase?- domandò, inarcando un sopracciglio.
- Fin troppe - sbuffai - ma è quello che provo e non ho un modo migliore per esprimerlo -
Lui scosse il capo - andiamo! Vuoi farmi credere che non ci sia nulla di meglio nel tuo vocabolario così forbito? Sei arrabbiata Jennifer e in questo modo risulti solo...-
-Patetica? - suggerii.

Thomas rise di nuovo e si portò al mio fianco, piegando le ginocchia fino a ritrovarsi alla mia altezza - vedo che siamo sulla stessa lunghezza d'onda- .

Io alzai le mani e inclinai il busto, poi emisi un forte suono gutturale e frustrato - perché tutti pensano che ci sia così tanto in me? Non sono arrabbiata, non ho nessun fuoco dentro - ammisi, recitando le parole che il mio produttore aveva usato pochi giorni prima - ho solo bisogno di qualcosa che mi scuota da questo stato di dormiveglia perenne, non ne posso più di vivere la mia vita come se fossi sonnambula - piagnucolai, poggiando la testa contro il palmo della mano.

Thomas pizzicò il lieve accenno di barba che gli decorava il mento con la punta delle dita, poi mi guardò, un piccolo sorriso stampato sulle labbra - forse ho il rimedio giusto. Però dovrai fare lo sforzo di uscire con me questa sera -

Ehilà!
Sono un po' in ritardo lo so, però ho davvero delle giornate pienissime e dei seri problemi di gestione del tempo hahah
Non mi dilungo molto, spero solo che il capitolo vi piaccia e che come al solito mi riempiate di commenti/stelline.
Vi ringrazio per tutto e vi mando un bacio❤️

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