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Un piacevole tepore gli accarezzò la pelle.

Adrien aprì gli occhi. La stanza era illuminata da una luce soffusa che proiettava ombre lunghe sui muri. La coperta sul ventre era soffice, calda. La bocca reclamava acqua. Girò la testa su un lato, sul tavolino accanto al letto c'era una brocca d'acqua. Sollevò il busto ed allungò un braccio, le ossa scricchiolavano ad ogni movimento. Bevve dalla brocca, l'acqua gli rinfrescò la gola arsa.

Dove si trovava?

Le pareti erano in legno, così come il pavimento, il soffitto alto sorretto da travi scure. Un allegro fuoco danzava e scoppiettava nel camino.

Adrien riordinò i pensieri. Il ricordo riaffiorò prepotente come un pugno allo stomaco. Papillon era suo padre. L'uomo che aveva causato dolore e sofferenza a Parigi era la persona a lui più vicina, la persona che affermava di amarlo e proteggerlo da qualsiasi minaccia. Lo faceva per sua moglie, Emilie, per riportarla in vita.

Adrien strizzò gli occhi, il cuore gli pesava ancora come un macigno nel ripensare all'immagine di sua madre, dormiente, in quella capsula. Nella mente, gli ripassò davanti la scena in cui suo padre pronunciava una formula, si sollevava da terra e una luce tanto accecante quanto sublime gli avvolgeva il corpo. Dopo lo schiocco, non ricordava più nulla, se non di essersi addormentato. Aveva sognato di galleggiare in vasti oceani e di librarsi in volo su sconfinate terre.

Quanto aveva dormito?

Di sicuro non si trovava a casa sua. Aveva bisogno di risposte. Ma a chi fare le dovute domande?

La porta si spalancò. Un ragazzino, di una decina d'anni, con indosso una veste marroncina si palesò.

«Ciao!» Adrien si sedette a metà letto, scostando la coperta. «Sai dirmi dove mi trovo?»

Il ragazzino sgranò gli occhi verdi e fuggì.

Adrien poggiò i gomiti sulle ginocchia, e la guancia sul palmo. La pelle era fredda, ispida per via del velo di barba.

«Adrien!» Dalla porta sfrecciò una piccola bolla nera, che si fermò ad un palmo dal viso del ragazzo: Plagg. «Finalmente ti sei risvegliato.» Si strofinò con l'intero corpicino sulla guancia di Adrien. Aveva la voce singhiozzante.

«Non starai mica piangendo.»

Plagg si allontanò e si strofinò gli occhi. «È... È colpa del freddo.»

Già, il freddo. «A proposito, dove ci troviamo?»

«Siamo al Tempio dei Guardiani dei Miraculous, in Tibet.»

Adrien spalancò la bocca. «In Tibet?»

Plagg annuì e gli spiegò cos'era accaduto dopo lo schiocco: il viaggio di Ladybug, il Gran Maestro, il rituale per risvegliarlo.

Adrien fece fatica ad assorbire così tante informazioni. Soprattutto per la portata di tali informazioni. Deglutì. «E dove sono adesso mio padre e... mia madre?» Avvertì un groppo in gola e dovette bere un altro goccio d'acqua. Mai avrebbe pensato di tornare a parlare di sua madre come se fosse viva.

«Suppongo siano alla villa, a Parigi.» Plagg fece spallucce. Dal modo in cui ne parlava, sembrava aver sviluppato una certa acredine nei loro confronti. «Ladybug non ha voluto che prendessero parte al rituale.»

«Non che abbia tutti i torti.» Adrien chinò il capo. «Non posso credere che mio padre sia arrivato a tanto. Non avevo mai capito quanto fosse grande il suo dolore per la perdita della mamma. Ora capisco anche il motivo della lunga pausa di Papillon in questi anni: aveva perso la memoria.»

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