Dago

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Era notte fonda e la luna brillava alta in cielo.
Quella porta era rimasta chiusa per tutto il pomeriggio e Dago era rimasto la davanti senza mai alzarsi.

Le strilla, il rumore degli oggetti tirati a terra, era svanito.

Ora da quella camera chiusa a chiave, proveniva solo un silenzio impenetrabile.

Marla era distesa sul suo letto, con la bocca chiusa e gli occhi aperti, che contemplavano il soffitto bianco.
Non parlava, ma dentro di se gridava a squarciagola, spaventata a morte.

Sentì un leggero rumore provenire dalla sua porta, e senza farci troppo caso, si voltò verso di essa, per capire cosa fosse.

Il ragazzo dall'altra parte, fece passare una fotografia sotto la porta e Marla, con il corpo che ancora tremava, si avvicinò e la prese fra le sue mani.

Dago sentì la schiena della ragazza, appoggiarsi alla porta e un sorriso leggero illuminò il suo viso.

"Quello sono io a tre anni." Disse in un bisbiglio, mentre fissava il vuoto.

"Mia nonna mi vestiva sempre con delle salopette più grandi di me e magliette a righe. Diceva che vestito così le ricordavo mia madre. A me le magliette a righe non sono mai piaciute. Nemmeno le salopette." Raccontò sorridendo, mentre Marla ascoltava senza parlare.

"Un giorno, avrò avuto sette anni, un bambino a scuola mi disse che i miei vestiti puzzavano, e io convinto che fosse colpa di quella stupida maglietta a righe e di quella salopette, appena arrivato a casa, li tolsi e li buttai nel cestino. Solo anni dopo, capii che quel ragazzino non si riferiva ai vestiti, ma a me. Puzzavo d'Africa, dicevano. Come se un continente così grande, potesse avere un odore."

Marla continuava ad ascoltare, mentre accarezzava con il pollice la figura di quel bambino.

"Quando mia nonna vide i vestiti nel cestino, quei pezzi di stoffa che le ricordavano tanto mia madre, pianse in silenzio, ma non mi disse niente. Me me comprò altri, come li avevano tutti, banali.... ma da quel giorno, ogni volta che mi vedeva, non faceva più quel sorriso pieno di gioia. Continuava a sorridere, ad amarmi, ma buttando quella maglia e quella salopette, avevo buttato via anche i suoi ricordi."

Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui Marla anche se non lo vedeva, sapeva che la guancia del suo ragazzo, si stava bagnando con una lacrima.

Succedeva ogni volta che parlava di sua nonna, ogni volta che accennava al suo passato, per questo Marla ne sapeva ben poco.
Sapeva ogni cosa del ragazzo che era nel presente, ma di chi era prima d'entra la dentro, poco e niente.

Quella fu la prima sera che ne parlò. Forse solo perché era sconvolto dalla notizia che avevano ricevuto, oppure perché si sentiva pronto.

Del perché gliene parlasse, a Marla in quel momento non interessava.
Rimaneva in silenzio, con le lacrime che riprendevano a scendere, con la foto di quel bambino, che ora era un uomo, che sapeva d'amare alla follia.

"Mia madre non l'ho mai veramente conosciuta. È morta che avevo un anno. Violenza domestica, e ogni giorni ringrazio d'aver preso tutto da lei e niente da lui. Non ebbe nemmeno il coraggio di pagare per quello che aveva fatto. Si uccise subito dopo. Due colpi di pistola e l'assassino di mia madre se n'era andato. Fui affidato a mia nonna. Era una figura materna magnifica, ma era pur sempre una nonna.... e quando ebbi sedici anni morì. Sono stato affidato alla famiglia di mio padre, ma, come dice il detto: tale padre, tale figlio. Non ci volle molto perchè, da bambino con i vestiti più grandi di lui, diventassi un uomo cresciuto troppo in fretta, con i lividi addosso. Però l'ultima battaglia l'ho vinta io. Un secondo prima mi difendevo e un secondo dopo, per un pugno dato troppo forte, lui cadeva a terra e smetteva di respirare. Cinque anni di carcere mi sono fatto, per omicidio e mancato soccorso. La mia vita, che era iniziata male, era finita peggio. Ho tentato il suicidio in carcere, ma come puoi immaginare, non sono morto. Ho iniziato la terapia la dentro e poi mi hanno trasferito qui. Mi mancava un mese, per gli arresti domiciliari, quando ho incontrato Miss Lea. Facevo i servizi socialmente utili in un canile, per riuscire ad abbassare la pena. Era iniziato tutto per riuscire ad uscire prima e mettermi nei casini un'altra volta. Quel giorno dovevo incontrare il capo di una gang di strada, con cui mi sarei dovuto unire una volta uscito, ma a quell'incontro non ci sono mai andato. Sono rimasto l'intera giornata con quel cane, che inspiegabilmente quando guardavo negli occhi, mi ricordava mia nonna. Lo so che è impossibile, che è una cosa da matti. Ma io la sentivo. Mi ha salvato lei.... Mi piace pensare che le cose succedono tutte per una ragione, e se quel giorno non avessi incontrato quel bassotto, a cui la pancia toccava per terra, non avrei mai incontrato la donna della mia vita."

Dopo qualche secondo di silenzio. Sentì la serratura aprirsi.
Si asciugò le lacrime, ed entrò lentamente nella stanza.

La vide in piedi, con la foto stretta fra le mani e gli occhi gonfi e rossi.
Con i capelli arruffati e le unghie mangiate fino all'osso.
Ma per lui era comunque la donna più bella del mondo.

"È tutto un disastro. La mia, la nostra vita. Come faremo a prenderci la responsabilità di crescere un'altra vita se non sappiamo nemmeno gestire la nostra."

Marla aveva la voce che tremava, ma in quegli occhi scuri, che la guardavano con tutto l'amore di cui l'essere umano è capace, trovava ogni risposta.

Dago si avvicinò sempre di più a lei, stringendola fra le sue braccia.
"Non lo so come faremo. Ma ce la faremo."
"Tu vuoi veramente prenderti questa responsabilità?" Chiese staccandosi dal suo petto per poterlo guardare di nuovo negli occhi, "ti senti veramente pronto ad affrontare una cosa così grande?"
Il ragazzo sorrise dolcemente e le diede una carezza, "Non sono pronto e non lo saró mai. Non si può mai essere veramente pronti ad una cosa del genere. Ma so una cosa, ti amo e niente mi allontanerà da te, qualsiasi decisione tu prenda"

Marla abbassò lo sguardo e scosse la testa, "Non so cosa fare. E se poi prende da me? Mio padre è scappato dopo che ha visto che anche io ero come mia madre... Ho perso fin troppe cose nella mia vita, non voglio perdere anche te"
"E di questo che si tratta? Hai paura di perdermi?"
"Sono terrorizzata all'idea di perderti."

Le sorrise dolcemente e le prese il viso fra le sue mani.

"Dal primo momento in cui ti ho visto ho capito quanto fossi fragile. Sotto a tutti quegli insulti sapevo che si nascondeva una donna fragile. Ti ho amata dal primo momento. Mi sono ripetuto più volte, che ti stavo vicino solo perchè avevo bisogno di fare del bene, per riscattare il mio passato, ma la verità è che tu hai fatto del bene a me, prima ancora che te ne facessi io. Sei stata la prima a vedere del buono in me, ad accettarmi. Io ti amo e ti amerò per sempre, te e la nostra creatura e quella dopo e quella dopo ancora" disse ridendo mentre il suo viso si riempiva di nuovo di lacrime.
"Ma anche se rimarremmo solo io e te per il resto dei nostri giorni, per me va bene. Perché non mi stancherò mai di te, del tuo carattere, dei tuoi insulti, del modo in cui ti si arriccia il naso quando ti arrabbi."

"Va bene" disse con un filo di voce, che però arrivò forte e chiaro alle orecchie di Dago."Ci proveremo"

Si strinsero in un abbraccio mentre la luna e la luce del corridoio li illuminava.

Due cuori che si erano uniti in un manicomio, sempre in quel posto, pieno di dolore e pazzia, si stavano dichiarando amore eterno.

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