Il passo falso

817 62 3
                                    

Gli infermieri andavano e venivano dalla stanza della nonna, ma nessuno dava delle informazioni a Emma. Niente di niente. Nessuno le voleva dire come stesse sua nonna.

"Dobbiamo aspettare che arrivi suo padre", le avevano detto, "e poi vi faremo entrare a vedere la signora Beatrice"

Emma, che non era abituata a imporsi con qualcuno per ciò che voleva, anche questa volta lasciò che le cose succedessero davanti a lei. Inerte e indifferente agli eventi.

Dopo un'ora circa, suo padre arrivó di corsa, e vedendo la figlia seduta nella panchina vicino alla porta della camera, la abbracciò.

Sentì il suo cuore pulsare veloce, e il fiato corto scaldarle il collo. Tremava spavento, e i suoi occhi brillavano disperazione.

"Ho fatto più in fretta che ho potuto. Ero in riunione con il direttore dell'Università e non ho sentito le chiamate. Appena la mia segretaria mi ha detto che era urgente ho corso fino a qui" disse senza respirare, come se cercasse di recuperare il tempo perso.

Prese fiato e il suo sguardo si spostò da Emma alla porta chiusa della camera.

"Come sta? Cos'è successo?" Chiese continuando a fissare quella porta, che lo separava da sua madre, cercando di trattenentesi dalla voglia di aprirla a forza.

"Ha avuto una crisi. A quanto pare la seconda di oggi" rispose, senza alzare lo sguardo dal pavimento. "Hanno detto che dovevo aspettare fuori, e che ci avrebbero fatto entrare appena saresti arrivato"
"Perfetto, sono qui. Ora fatemi vedere mia madre" supplico ad alta voce.
Ma per qualche secondo nessuno si fece vivo.

Iniziò a battere i pugni conto la porta, mentre tratteneva le sue lacrime, e dopo minuti interi d'agonia, le sue suppliche furono ascoltate.

Una donna con il camice bianco uscì dalla stanza e si presentò ad Emma e a suo padre.

"Salve, sono la dottoressa Jones. Millie Jones. Sono la dottoressa che si occupa di vostra madre e di tutti i pazienti affetti da Alzheimer"
"Come sta? Possiamo vederla?" Chiese, sempre con tono supplicante David.
"Si, ma vi avverto che è molto debole. Si sta svegliando dal sonniferò che le abbiamo dato"

David sentendo quelle parole si affrettò ad entrare nella stanza, ma mentre apriva la porta per entrare la dottoressa gli prese il braccio e lo fermò.

"Signor David, deve essere pronto. Non sono un buon segno due attacchi in un solo giorno, e potrebbero aver causato danni irreparabili"

L'uomo a quelle parole strinse forte i pugni, facendo diventare le nocche bianche.
Avrebbe spaccato qualcosa in quel momento, avrebbe distrutto ogni cosa mandando all'aria il suo comportamento sempre calmo e pacato.

"Non vorrei essere io a dirglielo, ma" riprese la donna, con gli occhi bassi, senza avere il coraggio d'alzarli e incrociarli con l'uomo "Ma sua madre non ha molte probabilità di superare la notte. È arrivata al limite."

David lancio uno sguardo alla figura della madre distesa nel letto, che si poteva intravedere dalla porta semi aperta.
Rivolse poi uno sguardo pieno di passione alla figlia in piedi vicino a lui e con un filo di voce disse: "Va bene, ma ora mi faccia andare da lei."
Dalla voce Emma capi che il padre stava per scoppiare in un pianto disperato.

Entrati nella stanza, si misero intorno al letto dove si trovava Beatrice.

"Mamma" disse David, "Mamma siamo noi, Emma e David. Siamo qui con te. Non ti lasceremo sola. Non ti lascerò mai più da sola te lo prometto"

Prese la mano della madre e la strinse e poi mentre le accarezzava i capelli, i suoi occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime e iniziò a piangere.

Il pomeriggio passo molto lentamente.
Emma era inerte davanti al letto della nonna. Sapeva che almeno in quella occasione avrebbe dovuto mostrare dei sentimenti. Addolorarsi e piangere insieme a suo padre. Ma non ci riusciva. Sapeva che in fondo era triste. Anzi sapeva che era triste e completamente affranta dalla imminente morte dell'unica donna che c'era stata nella sua vita. La donna che la aveva cresciuta come una figlia, e che la amava più di se stessa. Ma non riusciva a mostrare il dolore che aveva dentro. Ci provó, ma i suoi tentativi furono quasi ridicoli. E alla fine, decise di rimanere in quella stanza in silenzio, vicino alla nonna, e di aspettare insieme al padre la morte imminente.

Alle 23.05 sua nonna morí.
David dovette essere preso di forza e portato fuori dagli infermieri. Non voleva allontanarsi da sua madre, nemmeno dopo che il suo corpo aveva perso tutto il calore, passando così da un colorito roseo e una pelle calda, ad un colorito pallido e un corpo freddo come il ghiaccio.

Tornarono a casa. Per tutto il viaggio nè David nè Emma dissero una parola. Arrivati a casa senza nemmeno cenare, andarono rispettivamente nelle proprie camere.
Emma nel tragitto tra l'ospedale e la porta di camera sua non fece altro che colpevolizzarsi. Per una volta nella sua vita, l'indifferenza e l'apatia che la caratterizzavano, non le avevano reso le cose più semplici.
Avrebbe voluto stare vicino a suo padre e dargli il conforto che meritava, ma non c'era riuscita. Nemmeno davanti alla morte, era riuscita a dimostrare le sue emozioni, era rimasta indifferente anche in quella occasione e sapeva che suo padre non glielo avrebbe mai perdonato.

Prima che che la porta di camera sua si chiudesse, mettendo fine a quella giornata terribile, suo padre si girò verso di lei, sospirò affranto e la guardò con i suoi occhi chiari pieni di lacrime amare.

"Non ce l'ho con te. Forse tu sei così e basta. Non c'è modo di cambiarti. Puoi smettere anche d'andare dalla psicologa se vuoi. Ma Emma, non puoi lasciare che il mondo ti passi davanti senza reagire. Stai sprecando la tua vita, e tua madre l'ha persa per donartela. Perciò continua così, ma non aspettarti che io possa accettare che l'unica persona che mi è rimasta, sprechi la sua esistenza in questo modo" la sua voce tremava, trasudava disperazione e angoscia e tanti piccoli brividi riempirono il corpo della ragazza.

Si sentiva in colpa, ma quello che più avrebbe voluto cambiare, era il fatto che nonostante si sentisse in colpa, nessuna emozione riusciva a pervaderle il corpo.
Non era triste, non era arrabbiata, e nemmeno addolorata. L'unica cosa che provava era indifferenza mista ad amarezza, amarezza per non poter stare vicino all'unica persona che le era rimasta.

Suo padre la guardò ancora una volta, e in quegli occhi chiari Emma vide quel luccichio che lo contraddistingueva, spegnersi davanti a lei.
La speranza di vederla guarire, di vederla provare emozioni se n'era andata con sua nonna.
Da lì ogni cosa sarebbe cambiata.

Chiuse la porta e la lasciò sola, nel pianerottolo, mentre guardava quella porta ormai chiusa e nella mente rivedeva i suoi occhi spegnersi davanti a lei, che inerte lasciava ancora una volta che le cose accadessero.
Senza reagire, senza fare qualcosa per cambiare le cose.

Entró nella sua camera, si distese sul letto, e passo la notte a fissare il soffitto.
Senza chiudere occhio, chiedendosi per la prima volta in vita sua, se veramente ci fosse qualcosa di sbagliato in lei.

ApatiaWhere stories live. Discover now