32. Courage

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Tamburello le dita sul legno rigido, provocando un rumore fastidioso che sembra martellarmi fra le tempie.
Le increspature venose della superficie color porpora si diramano come capillari in un mare di frammenti minuscoli, che mi incrociano la vista, fino a farmi incantare.

Il brusio delle persone intorno a me sembra farsi sempre più fastidioso ad ogni minuto che passa, quindi mi ritrovo a battere il piede con insistenza contro il pavimento piastrellato.

I miei occhi chiari setacciano ogni centimetro della caffetteria, balzando da quadri di arte contemporanea a volti di ogni semplicità e rarità.

Probabilmente sembrerò una pazza.

Mi stringo le braccia al petto, sentendomi a disagio nonostante nessuno stia facendo caso a me, che nascosta in un angolino non faccio altro che controllare la porta d'ingresso ogni tre secondi.

Ho una strana sensazione addosso.

Scuoto la testa come se ciò bastasse ad alleviare il peso dei miei pensieri, ma peggioro solo la situazione, sentendo la spremuta che ho bevuto appena cinque minuti fa, bruciarmi la gola come se si trattasse di peperoncino in polvere.

«Calmati» sussurro a denti stretti, portandomi una ciocca ribelle di capelli chiari dietro l'orecchio, «Non ti ha dato buca» mi rassicuro, lanciando una veloce occhiata di lato.

Niente... non lui.

Ritorno a guardarmi intorno, concentrandomi sul soffitto costellato di edere verdi come le fronde di un pino, raggruppate in ghirlande ordinate, che danno l'impressione di trovarsi al posto delle nuvole e guardare dall'alto un prato fiorito.

Un colpo di tosse mi fa sobbalzare sulla sedia, facendomi scivolare dalle dita il piccolo barattolino contenente i tovaglioli.
Lo seguo con gli occhi mentre rotola indisturbato verso il bordo del tavolo, pronto a suicidarsi per terra.

Una mano gracile e tempestata da tatuaggi color cenere, lo afferra proprio quando lo stavo dando per spacciato, rimettendolo in posizione verticale e stabile.

Saetto lo sguardo sulla ragazza che mi guarda con i suoi grandi occhi marroni, «Posso portarti altro o stai aspettando qualcuno?» domanda dolcemente, senza accorgersi minimamente del mio travaglio interiore.

Sto per vomitarle addosso, cazzo.
Quel succo all'arancia deve essere stato marcio, perché sento il mio stomaco sottosopra.

«I-io» umetto le labbra secche con la lingua, cercando di recuperare la salivazione che mi sta lasciando a secco, «Sto aspettando» mi limito a dire, distogliendo gli occhi dai suoi magneti succhia anime.

Ma la vedo nuovamente lì, di fronte a me, con la mano ancora posata sul pezzo di latta, come se si volesse assicurare che rimanga in quel preciso punto.

«Mi dispiace, ma non puoi restare a lungo al tavolo senza consumare» si mortifica, spostando il peso su una gamba, per attirare la mia attenzione.

Forse... dovrei andarmene.
Ho atteso a lungo.

Annuisco lentamente, iniziando ad indietreggiare con la sedia per potermi alzare.
Il cigolio delle gambe in legno provocano un rumore sgradevole, una nota stonata in mezzo al silenzio borbottato.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora