Capitolo 2 - When the sun rise again

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Bella


Non so cosa mi aspettassi dal clan di Denali, ma di certo non l'accoglienza affabile che mi riservarono.

Il nostro primo incontro era stato...strano, ma in senso positivo. Sapevo che mi stavano aspettando, quindi ero divisa tra eccitazione e apprensione. Che impressione avrei dato, piombando loro tra capo e collo senza essere stata invitata? Avrei ricevuto un benvenuto di circostanza, forzatamente educato o apertamente ostile?

A quello pensavo mentre seguivo Demetri e Santiago attraverso i laghi e i parchi nazionali del Canada. Non avevo idea di quanto tempo avessimo impiegato ad attraversare l'Atlantico, ma, come aveva preventivato Marcus, era stata un'esperienza affascinante. E me la sarei goduta di più, se non fossi stata sommersa da continue ed ansiose paranoie.

Poco prima di attraversare il confine con l'Alaska, dopo aver superato una cittadina di nome Beaver Creek, Demetri si era fermato e si era voltato a fissarmi. «Da qui in poi dovrai proseguire da sola. In linea d'aria sono poco più di cinquecento chilometri, penso che tu ce la possa fare», aveva detto, con quel tono di superiorità che mi urtava sempre i nervi. Il fatto che gli dovessi la vita era l'unica ragione che mi tratteneva dal rispondergli a tono. Un attimo prima di superarmi per raggiungere Santiago – che aveva proseguito lungo il percorso senza nemmeno accennare un saluto –, mi aveva lanciato un'occhiata penetrante. «Comportati bene, Bella. Vedi di non farmi pentire delle mie scelte», era stato l'avvertimento. Avevo annuito rigidamente e un istante dopo lui era sparito, veloce come il vento. Per un momento, un momento solo, avevo fantasticato di fuggire, di voltarmi e correre nella direzione opposta, dandomi ufficialmente alla macchia. Quello scenario mi aveva lusingata, ma si era trattato di una fantasia patetica, nonché potenzialmente suicida. Non sarei mai riuscita a seminare un segugio esperto come Demetri, se Aro gli avesse ordinato di ritrovarmi.

Quindi avevo proseguito come da programma, senza fermarmi finché non percepii il peculiare odore dei membri della mia specie. Solo allora avevo rallentato e l'ansia era tornata a sommergermi.

I vampiri di Denali mi erano venuti incontro, le posture rigide e gli occhi che mi scrutavano circospetti. Chissà cosa loro si erano aspettati da me. Forse che sarei giunta scortata da un intero plotone di guardie in tenuta da battaglia? O di vedermi bardata da una delle inconfondibili mantelle nere che indossavano sempre i miei compagni?

Invece, eccomi lì, sola e con un look decisamente inadeguato. Pensai a come dovevo apparire ai loro occhi, con ciò che rimaneva dei miei vestiti sportivi, incrostati di neve e muschio, e strappati in più punti. Per non parlare dei capelli: non mi serviva uno specchio per sapere che erano simili ad un cespuglio di rovi ricoperto di brina.

Era una situazione talmente assurda e lontana da ciò che mi ero immaginata, da farmi scoppiare a ridere. Dire che la mia reazione li aveva spiazzati era un eufemismo. Non so cosa si fossero aspettati, ma di sicuro non quello. Prima che potessero prenderla nel verso sbagliato, magari offendendosi, mi ero affrettata a spiegare. «Mi spiace, so di apparire ridicola. Avrei voluto fermarmi lungo la strada per darmi una sistemata, ma avevo fretta di arrivare. Spero che perdonerete il mio aspetto inadeguato».

Dopo le mie affermazioni, sulla radura era sceso il silenzio. I cinque erano parsi indecisi, ma anche incuriositi e un po' meno ostili. Era stato l'unico maschio a fare qualche passo avanti e parlare per primo. «Questa sì che è una sorpresa», aveva mormorato, scrutandomi da capo a piedi. I suoi occhi dorati si erano soffermati nei miei, lo stupore palpabile. «Aro ci aveva avvertiti del tuo arrivo, ma, conoscendo i Volturi, mi aspettavo qualcuno di molto diverso. Meno...». Aveva esitato e due delle femmine avevano completato la frase per lui.

«Educata?», aveva proposto la prima, quella dai lunghi capelli biondo rossiccio.

«Amichevole?», aveva fatto eco l'altra, la cui chioma virava verso il biondo miele.

Il maschio aveva dilatato le narici e inspirato a fondo. «Stavo per dire controllata, ma credo che abbiamo tutti centrato il punto». Aveva incrociato il mio sguardo smarrito e mi aveva rivolto un sorriso cordiale. «Benvenuta a Denali, Isabella. Credo proprio che ti troverai bene qui da noi».

E così era stato.

Una parte di me aveva temuto che i restanti membri della mia nuova specie si rivelassero tali e quali ai Volturi: nient'altro che spietati assassini, pronti ad uccidere al minimo affronto. Creature da cui girare alla larga e con cui interagire il meno possibile, se si voleva continuare ad esistere. Dopo aver avuto a che fare con Caius e Jane, di certo non avrei potuto credere potesse esistere un vampiro dolce e amorevole.

Qualcuno come Carmen, ad esempio. Lei ed Eleazar, il maschio che mi aveva accolta, erano due anime affini, molto sensibili e altruiste. Era difficile – inimmaginabile – credere che avessero trascorso entrambi un periodo assieme ai Volturi. Eleazar mi aveva raccontato di come l'incontro con Carmen gli avesse aperto gli occhi, gli avesse fatto capire come lo stile di vita dei vampiri di Volterra non si adeguasse appieno ai propri valori. Quindi aveva scelto di andarsene, di seguire Carmen in America, liberandosi dal giogo dei Volturi con il loro benestare. Dopo aver ascoltato la sua storia, una flebile speranza si era accesa in me: forse anch'io, in futuro, avrei trovato il modo di sciogliere le catene che Aro mi aveva avvolto attorno.

Le altre tre vampire del clan erano ognuna interessante a modo proprio. Le avevo analizzate mentre interagivano l'una con l'altra, riscontrando differenze abissali tra loro e le femmine che gravitavano attorno ad Aro, Caius e Marcus. Oltre ad essere tutte e tre bionde, splendide come un tramonto di primavera e sorprendentemente tolleranti nei miei confronti, erano anche una compagnia molto piacevole.
Tanya, la matriarca, era molto protettiva verso gli altri membri, simpatica e vivace. Le sue sorelle, Kate e Irina, erano più riservate, ma ugualmente affabili e curiose. In quella settimana mi avevano riempita di domande, attenzioni e complimenti, tanto che ormai mi sentivo una di famiglia.

Più imparavo dettagli su di loro, più li apprezzavo e... invidiavo. Erano un gruppo molto unito, ma quel legame non era dovuto a qualche genere di ricatto. Vivevano assieme perché lo volevano, non obbligati da minacce o imposizioni.

E, cosa ancora più importante, condividevano la mia opinione sulle abitudini di caccia. Nessuno di loro si nutriva di esseri umani, anzi le tre sorelle riuscivano perfino a stabilire relazioni con loro, stando a quanto mi aveva detto Tanya. E non si trattava di semplici amicizie, ma anche di...relazioni fisiche. Non riuscivo nemmeno ad immaginare quanto autocontrollo dovesse servire per stare così vicino ad un umano. Io di sicuro avrei finito per uccidere qualcuno nell'impresa, senza neppur volerlo.

Mi trovavo bene lì, con loro. L'Alaska era il luogo perfetto per un vampiro, con tutti quegli spazi disabitati e il clima inospitale che teneva alla larga i mortali.

In quel momento, poco prima del tramonto, Kate, Tanya ed io ce ne stavamo sedute nella raduna dietro alla loro baita, ad osservare i riflessi dorati e cremisi del sole sulla superficie ghiacciata. Era un sollievo poter parlare, perfino discutere, di nuovo con qualcuno senza temere ritorsioni o reazioni violente.

Distratta dal bagliore del sole morente e dalle mie riflessioni personali, avevo perso le ultime frasi che si erano scambiate. Mi scostai una ciocca di capelli dal viso e mi affrettai a risintonizzarmi sulla loro conversazione.

«...completamente distrutto», stava dicendo Kate. «Ti ricordi? Irina non mi ha rivolto la parola per settimane».

«Già», confermò Tanya, girandosi verso di me per strizzarmi l'occhio. «Era il suo soprammobile preferito. Il quinto che distruggevi in poco meno di un mese».

Kate inarcò le sopracciglia. «Non è colpa mia. Irina dovrebbe imparare a mettere ordine tra le proprie cose, non lasciarle dove io possa toccarle per sbaglio e romperle».

Tanya scoppiò a ridere. «E' proprio per quello che si chiamano "soprammobili", cara», disse, divertita. «Perché stanno sopra i mobili, e non dentro».

L'altra vampira scrollò le spalle e io mi unii alla risata di Tanya.

«E tu, Bella? Hai distrutto molte cose nei primi tempi?», mi chiese Kate, con educata curiosità. «Sei sorprendentemente controllata per essere una neonata, lo abbiamo notato tutti, ma devi avere avuto comunque dei problemi ad adattarti alla tua nuova natura».

Annuii. «Oh, sì. Potrò anche avere un autocontrollo anomalo verso gli umani, ma per quanto riguarda la mia forza...». Mi rigirai tra le dita una ciocca di capelli. «Ecco, in quell'ambito ho ancora molto da imparare. Non sapete quante penne ho sbriciolato le prime volte che provavo a scrivere». Questa confessione le fece ridere. Sorrisi anch'io. «Una volta ho frantumato uno dei cimeli antichi della collezione di Caius». Nel ripensare alla conseguente sfuriata del vampiro, il mio sorriso si trasformò in una smorfia. «Se non fosse stato per l'intervento di Marcus, sono piuttosto certa che Caius mi avrebbe azzannata e poi ridotta in briciole come quel povero vaso».

Tanya e Kate si scambiarono un'occhiata che non riuscii a decifrare. Quando tornò a guardarmi, Tanya sembrava turbata. «Il modo in cui parli di...dei Volturi...è insolito», affermò, soppesando con cura le parole. Forse per tentare di non offendermi. «Specialmente quando nomini Marcus. Parli di lui come se...come se in qualche modo tu gli fossi affezionata».

Quell'affermazione dissolse ogni parvenza di divertimento. Mi strinsi nelle spalle, distogliendo lo sguardo. «So che è assurdo e difficile da credere, e so come sono e come appaiono al resto dei vampiri. Non sto dicendo che non siano spaventosi e terribili, perché, credetemi, lo sono. Ma per me sono...l'unica famiglia che mi è rimasta». Mollai la ciocca di capelli e affondai entrambe le mani in un cumulo di neve fresca. «Mi hanno salvato la vita, mi hanno dato un posto in cui vivere, mi hanno offerto protezione. Senza il loro aiuto...a quest'ora sarei morta e finita chissà dove. Nel mondo umano, mio padre ed io risultiamo tutt'ora scomparsi». Nel pronunciare quelle parole, venni percorsa da emozioni contrastanti e violente. Paura e rimorso nei confronti di mia madre, del tutto ignara di ciò che era realmente accaduto a me e a mio padre. Dolore e ira cieca per ciò che quegli umani avevano fatto a Charlie. Gratitudine e disprezzo per i Volturi. «Tra tutti loro l'unico vampiro di valore è Marcus. Mi ha sempre trattata come una figlia e gli devo tutto ciò che ho adesso. Degli altri non mi importa nulla, e so che se non avessi questo dono, non ci avrebbero pensato due volte ad eliminarmi». I miei occhi si fissarono sugli ultimi raggi di sole che scintillavano sulle cime innevate delle montagne. «E potrebbero ancora farlo. Sopprimermi come un animale, se decidessi di reclamare la mia indipendenza dal loro clan, o se la mia esistenza diventasse una minaccia per la loro sicurezza. Una parte di me continua a pensare che Aro mi abbia mandata qui solo a questo scopo. Forse spera che mi dimostri meno controllata del previsto, che commetta qualche carneficina o altro per giustificare la mia eliminazione in modo...etico». Serrai i denti dopo aver pronunciato l'ultima parola, intuendo che le mie deduzioni non erano lontane dalla realtà. Aro aveva visto del potenziale nel mio talento, ma forse si era stancato della mia continua opposizione alle sue lusinghe e aveva deciso che ero inservibile, non adatta ai suoi scopi.

Un sibilo si fece strada tra i denti serrati. Con la coda dell'occhio scorsi l'occhiata comprensiva che mi lanciò Tanya prima di annuire. Ci misi qualche istante a capire che quel cenno non era rivolto a me, ma a Kate.

Quest'ultima si strofinò le mani sui jeans per togliere alcuni frammenti di ghiaccio. «Non dirò che ti capisco, perché non credo di riuscirci. La tua è una situazione complicata e con i Volturi coinvolti è doppiamente pericolosa. Però Eleazar ha ragione: tu non sei come loro, Bella, e dubito che lo diventerai. Hai una coscienza troppo forte, talmente forte da permetterti di dominare gli istinti più violenti, la tua sete di neonata. Quindi, se davvero sei destinata a continuare a convivere con quelli, avrai bisogno di tutto l'aiuto possibile. Io non posso fare molto, ma posso almeno aiutarti con quel tuo scudo. Se dimostri loro che questo viaggio ti è servito per imparare qualcosa di concreto, a potenziare il tuo dono per esempio, forse i Volturi saranno più propensi a lasciarti partire di nuovo, a concederti qualche libertà in più». Scattò in piedi e allungò un braccio verso di me, porgendomi la mano. Guardai prima il suo palmo dischiuso, poi sollevai gli occhi nei suoi. Lei mi rivolse un sorrisetto. «Allora, ci stai?».



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When northern lights are dancingWhere stories live. Discover now