Capitolo 4 - With me into the night

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Bella


Era calata la notte e il cielo limpido sopra la mia testa era una vista mozzafiato. A Volterra nemmeno i miei occhi ipersviluppati riuscivano a scorgere tutte quelle stelle. Lì, distesa su una spessa lastra di ghiaccio, mi pareva quasi di galleggiare nello spazio. L'aria era fredda e pulita, ogni tanto trasportava fino a me qualche soffice fiocco di neve.

Tuttavia quell'atmosfera rilassata non durò a lungo.

«Per quanto ancora intendi ignorarmi, Isabella?».

Chiusi gli occhi, fingendo di aver soltanto immaginato quella voce anche troppo familiare. Riuscii a trattenere anche l'impulso di correggere il mio nome intero in favore del diminutivo. Lo facevo sin da bambina, ormai mi veniva automatico. E Edward usava apposta il nome completo, ben sapendo di infastidirmi. Sembrava che quello fosse diventato il suo passatempo preferito: provocarmi per ottenere una qualche reazione da parte mia.

Forse dipendeva dal fatto che, sin dal nostro primo incontro ufficiale, avevo tentato in ogni modo di ignorarlo. Fingere di non notare la sua presenza costante richiedeva uno sforzo non da poco, visto quanto mi sentissi – mio malgrado – attratta da lui. Mi fingevo interessata ad altro, ma lo osservavo con la coda dell'occhio ogni volta che si muoveva e non perdevo una parola di ciò che diceva ai vampiri di Denali. La sua voce e i suoi modi erano piacevoli, mi ricordavano molto quelli di Carlisle. Dopo tutti quei decenni trascorsi fianco a fianco, era logico che Edward avesse assorbito qualcuno dei comportamenti del padre adottivo. Tuttavia, non era né pacato, né docile e decisamente non rispettava gli spazi altrui. Su quell'aspetto non assomigliava per niente al dottore.

Edward si era offerto di restare a Denali il più possibile, per supportare Eleazar e Kate durante i miei allenamenti. All'inizio mi ero opposta, ma, dato che quanto a testardaggine eravamo alla pari, mi ero presto dovuta arrendere. Avevo ceduto principalmente per far contenta Tanya: lei desiderava che Edward restasse lì e, oltretutto, in quel modo non avrebbe dovuto beccarsi le scosse di Kate a causa della mia incompetenza.

Avevamo approntato un nuovo metodo di allenamento. Stavolta era Kate a fungere da cavia, io avrei solo dovuto avvolgerla con lo scudo, in modo da isolare la sua mente affinché Edward non riuscisse più a captarne i pensieri. Era un metodo ugualmente efficace a potenziare il mio dono, ma più semplice e meno invasivo del precedente; nessuno rischiava di farsi male e io ero più rilassata e ricettiva nei tentativi.

Non che avessi compiuto molti progressi rispetto all'inizio: ero a malapena riuscita a liberarmi dello scudo e indirizzarlo verso Kate, per poi sentirlo rimbalzare verso di me come una sorta di elastico impazzito. Non mi ero data per vinta, ma era frustrante non notare dei successi rilevanti nonostante il mio duro impegno.

Avere Edward sempre intorno, inoltre, non mi aiutava affatto a mantenere la concentrazione. Potevo fingere che la sua presenza mi irritasse, potevo ripetermi che fosse soltanto una questione di attrazione fisica e quindi di non darvi troppa importanza, ma sapevo di mentire a me stessa. Mi piaceva la sua voce, bassa e melodiosa, che gli avrebbe di sicuro fatto guadagnare milioni se avesse deciso di intraprendere la carriera musicale. Mi piacevano i suoi modi da gentiluomo di altri tempi: era divertente notare come riuscisse ad eludere i continui tentativi di approccio di Tanya senza mai offenderla. Si notava da un miglio di distanza che quell'interesse spiccato nei suoi confronti lo metteva a disagio e Kate non faceva che infierire, punzecchiandolo quando Tanya non era nei paraggi, ma non l'avevo mai sentito lamentarsi.

Purtroppo per me, Edward Cullen era affascinante proprio come avevo immaginato. Capivo benissimo perché Tanya facesse il possibile per attirare la sua attenzione e si entusiasmasse ogni volta che lui le sorrideva. Io non ero certo migliore di lei: aspettavo ogni giorno l'arrivo del vampiro con la stessa impazienza della matriarca di Denali. Avevo finalmente capito cosa intendesse dire la volpe in quel famoso passaggio de Il piccolo principe. Impazienza mescolata a felicità, un sentimento pericoloso quanto emozionante.
E sapevo di non averne alcun diritto. Lo conoscevo da quanto, meno di una settimana? Come potevo essermi affezionata così tanto a lui?
Ero davvero patetica.

«Isabella?», mi richiamò di nuovo quella voce dolce come miele.

Sospirai. Che vampiro ostinato.

Ora rimpiangevo di aver declinato l'invito degli altri Cullen. Avevano organizzato una partita di baseball per quella sera. Quando mi avevano invitata, li avevo fissati come se fossero impazziti. Dei vampiri che giocano a baseball? Come avrebbero fatto a non farsi scoprire dagli umani? Allora Alice mi aveva spiegato che dovevano aspettare che arrivasse un temporale per cominciare: in quel modo i tuoni avrebbero coperto i rumori del gioco. Era un'idea geniale e avrei tanto voluto proporla ai miei fratelli adottivi solo per poter ridere delle loro espressioni stralunate e schifate.

Avevo gentilmente rifiutato l'invito, dando per scontato che Edward avrebbe preso parte alla partita, invece, alla fine, il piano mi si era ritorto contro.

Un vero peccato, perché mi avrebbe fatto piacere rivedere Esme e Carlisle. Avevo incontrato Emmett e Rosalie due sere prima, quando erano passati per un saluto prima di andare a caccia, mentre Alice e Jasper mi facevano visita tutti i giorni. Lei adorava discutere con me di moda italiana (in quel campo avevo due anni di esperienza alle spalle, dato che uno dei miei passatempi consisteva nel memorizzare l'abbigliamento degli umani), Jasper, invece, mi impartiva delle lezioni sulle basi del combattimento tra vampiri. Mi aveva raccontato parte della sua storia personale e ora sapevo che era un esperto di strategie militari e anche di...neonati vampiri. Tutte quelle cicatrici che gli solcavano la pelle...quanto doveva aver sofferto? Non ero mai stata morsa da un mio simile, ma avevo assistito a degli scontri accesi a palazzo e sapevo che dovevo tenermi ben distante dai denti degli altri vampiri. E poi io non...

La voce insistente tornò alla carica, interrompendo le mie riflessioni. «Mi hai dato del maleducato, ma non pensi che far finta che io non esista lo sia altrettanto?».

Visto che ancora non mi degnavo di ribattere, Edward sospirò. Per un attimo pensai che avrebbe desistito e se ne sarebbe andato, ma poi avvertii uno spostamento d'aria e spalancai gli occhi. Si era seduto al mio fianco, decisamente troppo vicino.

Ignorò il mio sguardo truce e mi rivolse un mezzo sorriso. «Non mi sono ancora scusato per averti spaventata, quella famosa sera» affermò, dopo qualche istante di silenzio. «In realtà ci ho provato, ma tu non fai che evitarmi, quindi...».

«Ti hanno mai detto che sei assillante?», non potei trattenermi dal chiedere. Ecco, l'avevo rifatto. Non capivo come Edward potesse essere deluso dal non riuscire a leggermi nel pensiero, quando bastava la sua sola vicinanza ad azzerare qualsiasi filtro avessi tra bocca e cervello.

«Intendi nei pensieri o ad alta voce? Forse entrambi?». Le sue labbra formarono quel sorriso sghembo che mi causava strane reazioni a livello dello stomaco. «Più volte di quante riesca a ricordare», confessò, per nulla offeso dal mio commento.

Distese le lunghe gambe davanti a sé e notai che, come me, era a piedi nudi. Avevo imparato che anche lui preferiva liberarsi del superfluo quando era certo non ci fossero umani nei dintorni. In quel momento entrambi indossavamo abiti che un mortale avrebbe portato solo in piena estate.

Abbassai lo sguardo e feci una smorfia. La maglietta che mi aveva prestato Alice era troppo aderente e scollata per i miei gusti, ma era anche la più sobria tra quelle che mi aveva proposto. Si era offerta di provvedere di persona al mio guardaroba e non avevo avuto cuore di negarle quel piccolo passatempo: a me la moda non interessava nemmeno quando ero umana, ma per lei la scelta e il giusto abbinamento degli abiti pareva di importanza capitale.

Alice era il mio esatto opposto, vivace, espansiva e loquace, e forse era per quello che mi sentivo tanto a mio agio in sua compagnia. Anziché sentirmi in qualche modo intimorita dopo aver saputo del suo dono, della sua abilità di vedere il futuro, quando ero con lei mi sentivo...me stessa. Non dovevo fingere, potevo dire tutto ciò che pensavo senza temere giudizi. Se avessi potuto restarle accanto in futuro, di sicuro saremmo diventate delle grandi amiche, proprio come lei aveva previsto.

Era un gran peccato che il destino avesse piani ben diversi per entrambe, pensai, cercando di sistemare la manica della maglia che minacciava di scivolarmi giù dalla spalla.

Edward spostò gli occhi sulla stoffa che stavo tormentando e inarcò un sopracciglio. «Opera di Alice, senza dubbio», mormorò, soffermandosi un po' troppo sul pezzo di pelle che la maglia lasciava scoperta. Accennò un sorriso. «Scommetto che ci consideri una manica di cafoni invadenti. Finora sei stata anche troppo gentile a sopportare le idee pazze dei miei fratelli. Le continue sfide di Emmett, le battute di Rosalie, ora la mania da stilista di Alice...».

«Oh, no», mi affrettai a smentire. «Mi piacciono molto i tuoi fratelli. Sono così...spontanei e calorosi. Niente a che vedere con i miei». Mi sfuggì una smorfia. «A Volterra non ci sono molte occasioni per divertirsi, ovviamente. Sembra quasi che ridere sia proibito. A meno che non si tratti di Aro, ma nel suo caso sono risate forzate e isteriche. Mettono i brividi, te l'assicuro».

«Non stento a crederlo». Dopo aver pronunciato a bassa voce quelle parole, Edward rimase per qualche minuto in silenzio a contemplare la notte stellata. Lo sentii muoversi appena. «Ti dispiace se rimango qui con te per un po'?», chiese, alla fine.

Cominciai a sospettare che ci fosse una ragione precisa dietro quella richiesta. Ricambiai il suo sguardo attento con uno ironico. «Qualsiasi cosa è preferibile ai complimenti spudorati di Tanya, dico bene?».

La sua occhiata colpevole fu percorsa da una scintilla che non seppi decifrare. «E tu conosci solo quelli verbali...», insinuò malizioso.

Non riuscii a trattenere una risata. Potevo soltanto immaginare che tipo di pensieri vorticassero nella mente di Tanya quando Edward era nei paraggi. Probabilmente molto più audaci dei miei, ma nel suo caso Edward poteva udirli come se lei li avesse pronunciati ad alta voce. Al suo posto io sarei morta di imbarazzo, invece Tanya ci provava gusto a provocarlo col pensiero. Tuttavia quella temerarietà non sembrava portarle gli effetti sperati: Edward stava ben attento a non mostrare niente più che un'educata cortesia nei confronti della vampira.

Trascorsero i minuti e d'un tratto mi resi conto di star trattenendo il respiro. Mi imposi di rilassarmi e di fingere che il vampiro che mi stava a fianco non fosse altro che un pezzo di ghiaccio modellato a forma umana. Non funzionò: il suo odore era sempre lì, stuzzicante e fresco come la prima brezza di primavera.

Stavo già meditando di alzarmi e allontanarmi alla svelta, quando lui ricominciò a parlare. «Starti accanto è...riposante», affermò, lasciandomi di stucco. Fece una breve pausa, respirando a fondo ad occhi chiusi. «C'è solo silenzio, nessuna voce nella testa tranne la mia... è inquietante, ma anche sublime. Non credevo avrei mai potuto sperimentarlo».

«Eppure non fai altro che tentare di entrarmi nella testa», gli feci notare, presa in contropiede dalla sua sincera ammissione. «È anche per questo che ti sei offerto volontario per aiutarmi con gli allenamenti, giusto?». Lui non negò e io mi accigliai. «Perché ci tieni tanto? Cos'è, una sfida con te stesso? O una sorta di esperimento?».

Edward inclinò la testa. Una di quelle arruffate ciocche ramate gli ricadde sulla fronte. «Sì e no. Lo faccio soprattutto perché voglio davvero imparare a decifrarti, capire il tuo modo di ragionare. La tua mente deve essere...affascinante da leggere. Non fai mai ciò che mi aspetto, sei una delle poche persone che riesce a sorprendermi».

Per un momento immaginai cosa avrebbe visto e sentito se fosse riuscito nell'intento. Venni assalita dall'imbarazzo. «Ti assicuro che nella mia testa non c'è proprio nulla di così interessante da ascoltare», ribattei, vagamente terrorizzata dalla possibilità che riuscisse davvero a superare il mio scudo.

Lui scoppiò a ridere. «Kate ha ragione: sei troppo modesta. Un'eccezione non da poco per qualcuno che vive con un clan di comprovati megalomani».

Scrollai le spalle. «Non lo dicevo per modestia. Sul serio, i miei pensieri non valgono lo sforzo». Inarcai le sopracciglia, scoccandogli uno sguardo pensoso. «Più ci rifletto, più mi convinco che, se fosse capitato a me un dono come il tuo, probabilmente sarei impazzita nel giro di pochi anni. Voci altrui nella mente, in continuazione, quando a malapena sopporto di sentire la mia... dev'essere tremendo».

Lui rise di nuovo. «Avrei tanto voluto poterti leggere nel pensiero quando ti ho vista la prima volta, nella foresta», confessò, e ogni traccia di ilarità scomparve.

Mi irrigidii e strinsi i pugni. «Chissà cosa devi aver pensato tu di me. Ho quasi ucciso due umani innocenti. Mi sono comportata da vera irresponsabile, avrei dovuto prestare più attenzione al mio percorso e non allontanarmi così tanto da Denali».

Edward affilò lo sguardo. «Non saresti riuscita ad attaccarli. Stavo per intervenire proprio quando ti sei lanciata sull'orso. Non riuscendo a captare i tuoi pensieri, mi sono tenuto in disparte per capire che intenzioni avessi». Corrugò la fronte. «E poi sei scappata. Credevo l'avessi fatto perché avevi fiutato la mia presenza, ma mi sbagliavo». Il suo intenso sguardo dorato trafisse il mio. «L'avevi fatto per non mettere in pericolo quegli umani. Li hai difesi dall'orso e da te stessa. Non so come tu sia riuscita a trattenerti, ma hai la mia totale ammirazione».

Tralasciai gli ultimi commenti e mi focalizzai su ciò che aveva detto all'inizio. «Mi avresti impedito di ucciderli?», chiesi, incredula. «E come avresti fatto a bloccare una neonata in piena caccia?».

Quando un vampiro puntava una preda, era quasi impossibile fermarlo. Durante la caccia perdevamo il controllo su parte dei nostri sensi, lasciandoci guidare dall'istinto. Fermare un neonato, poi, doveva essere l'equivalente di tentare di bloccare un treno merci lanciato giù per una discesa. Come aveva potuto pensare di potermi fermare?

Senza preavviso, Edward si sporse verso di me, arrivandomi a un soffio dal viso. «Grazie al mio irresistibile fascino, ovviamente», dichiarò, rivolgendomi un sorrisetto arrogante.

Mi morsi le labbra per non ridere e alzai gli occhi al cielo. Se qualcuno ci avesse visti in quel momento, avrebbe potuto pensare che stessimo flirtando. Come due piccioncini innamorati al primo appuntamento...

Dopo aver formulato quel pensiero sgranai gli occhi e mi tirai indietro di scatto, riportando una saggia distanza tra noi.

Edward inclinò la testa di lato, fissandomi ad occhi socchiusi. «Ecco, non sai che darei per poterti leggere nella mente in questo preciso istante», mormorò, la frustrazione evidente nella sua espressione.

Non risposi. Distolsi gli occhi dai suoi, puntandoli verso il cielo ricamato di stelle.

La conversazione con Edward mi aveva distratto, ma c'era un motivo se avevo scelto quel posto per starmene un po' per conto mio.

I miei occhi vennero attirati dai primi bagliori che attraversarono il cielo limpido come onde verdastre. Sentii le mie labbra aprirsi in un sorriso colmo di meraviglia, mentre altre luci, viola e gialle, si susseguivano sopra le montagne. Quando avevo salutato Alice, poche ore prima, lei mi aveva consigliato di recarmi lì, il posto perfetto per ammirare l'aurora boreale. Quella sera sarebbe stata speciale, aveva detto. Mi avrebbe convinta ad andarci anche se non avessi saputo che era in grado di prevedere il futuro. Aveva un modo tutto suo di dire le cose, diretto e schietto, non lasciava spazio a tentennamenti.

Da quando ero in Alaska non avevo ancora avuto l'occasione di assistere a quel magnifico spettacolo naturale. Quand'ero umana avevo desiderato di poterlo vedere con i miei occhi e fotografarlo. Mi ero imposta di farlo almeno una volta, prima di...bè, prima di morire.
Trovavo ironico che, per poterlo vedere davvero, fossi prima dovuta morire.

Sentii Edward trattenere il fiato e mi voltai di scatto verso di lui. Il modo in cui mi guardava mi lasciò senza parole. Il suo sguardo era talmente intenso da darmi i brividi. Brividi piacevoli e caldi che si sommarono allo sfarfallio che avvertivo nello stomaco ogni volta che lui mi era vicino.

Mi schiarii la voce. «Ora potrei rigirarti la tua stessa domanda. Tu pretendi di sapere cosa mi passa per la testa, ma non sveli mai nulla su te stesso». Posai un palmo sul ghiaccio, le mie dita sfiorarono le sue. «Per esempio, cosa stai pensando adesso?».

Lui abbassò gli occhi sulla mia mano, poi sorrise. Era un sorriso tenero e insieme...raggiante. Quando rialzò lo sguardo verso di me, sentii accendersi nel petto un calore anomalo. «Sai perché sono arrivato in ritardo, il giorno del nostro secondo incontro?».

Non mi era sfuggito il fatto che avesse deliberatamente evitato di rispondere alla mia domanda, ma decisi di stare al gioco. «Non ne ho idea. Sentiamo, perché?».

«Ti stavo cercando. Mi sono messo sulle tue tracce poco dopo averti vista saltare dalla scogliera. Ho percorso centinaia di chilometri per riuscire a ritrovarti, Isabella», confessò, lasciandomi letteralmente a bocca aperta. Notando il mio sconcerto, il suo sorriso si fece più ampio. «E, tanto per la cronaca, questa maglia ti sta d'incanto. Quella tonalità di blu ti dona molto. Devo ricordarmi di riferirlo ad Alice».


When northern lights are dancingWhere stories live. Discover now