Capitolo 1 - Whenever wind is blowing

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Bella


Fuoco e sangue. Erano i primi ricordi della mia nuova vita, immagini vivide e sensazioni che, per quanto a lungo avessi vissuto, non avrei mai potuto dimenticare.

Presi un profondo respiro, sebbene non ne avessi bisogno. Un'altra abitudine umana che con il tempo sarebbe scomparsa. Secondo Caius, ero ancora troppo legata agli aspetti della mia vita precedente, quella patetica vita mortale che non mancava mai di nominare con palese disgusto.

Un refolo di vento mi sfiorò il viso, scompigliandomi i capelli. Una cascata di capelli ondulati che viravano dal castano al rosso a seconda della luce, talmente lucidi e perfetti che, a distanza di quasi due anni dalla mia trasformazione, ancora faticavo ad associare a me. Alla me stessa che scorgevo negli occhi altrui. La vampira immortale.

Un odore familiare filtrò tra le mie narici, mescolandosi ai vari profumi che aleggiavano nella notte. Era un'essenza che avrei riconosciuto tra mille, perché apparteneva a colui che mi aveva donato la seconda possibilità che tanto desideravo.

Dalle mie spalle giunse un basso mormorio. «Sapevo che ti avrei trovata qui».

Mi limitai ad annuire, tenendo lo sguardo puntato sul gruppetto di giovani intenti a chiacchierare ai piedi della torre. Studenti, a giudicare dai loro discorsi incentrati su corsi da seguire e tesine da scrivere.

Da quando la mia vita era stata stravolta ed ero stata catapultata, mio malgrado, in un mondo dove i vampiri camminavano indisturbati tra gli umani, c'erano molte cose che non mi era permesso fare. Uscire a mio piacimento da quel palazzo, ad esempio, se non per casi di stretta necessità. Quindi, avevo dovuto trovare – o, meglio, inventare – dei passatempi per non perdere completamente la ragione. Di giorno mi dedicavo ad approfondire la mia cultura personale, dato che, per come stavano le cose, non avrei più potuto intraprendere la carriera universitaria che sognavo fin da bambina. Non nell'immediato futuro, perlomeno. Di notte invece...mi concentravo su una questione più importante, una sorta di studio antropologico.

Trascorrevo interminabili ore in cima alla torre, seduta sul cornicione ad osservare gli umani che transitavano per le vie del centro di Volterra. Ero sempre ben attenta a non farmi notare, anche se era quasi impossibile per loro vedermi, nascosta com'ero tra le ombre. E io ne approfittavo per inspirare a fondo i loro odori, per analizzare i dettagli fisici e affinare il mio autocontrollo. Ero una neonata, per cui la sete era più forte per me che per gli altri vampiri di cui ero circondata. Eppure, sin dal primo istante in cui mi ero resa conto di avere delle armi da taglio al posto dei denti, il pensiero di uccidere non mi aveva mai sfiorata.

Purtroppo, il fatto che non considerassi gli umani delle prede era un problema. Per questo ero tenuta prigioniera, come una principessa ribelle che si teme possa fuggire col figlio del mugnaio.

Dal gruppetto di studenti si alzò un coro di risate. Scoccai un'occhiata ai loro volti spensierati e sentii le labbra curvarsi in un sorriso involontario.

«Vorrei poterti dare molti più motivi per sorridere così, Isabella».

Quell'ammissione sincera mi colse di sorpresa. Distolsi lo sguardo dagli umani e puntai gli occhi sulla figura ammantata di nero, in piedi a qualche metro dal cornicione su cui ero appollaiata. Saltai giù e andai incontro al vampiro dai lunghi capelli scuri, il mio creatore.

Il sospiro di Marcus si perse nell'aria fresca della notte. «So che sei diversa da noi, Isabella. L'ho capito dal primo momento. Se non lo fossi stata...». Lasciò la frase in sospeso, ma sapevo cosa intendeva dire.

Se non avessi posseduto quel qualcosa che mi distingueva dalla massa, a quell'ora non mi sarei trovata su quella torre. Se quella sera di due anni prima Demetri non mi avesse trovata agonizzante, se il mio sangue non avesse attirato la sua attenzione, so bene dove mi troverei oggi.

Sarei morta.
Come era morto Charlie, mio padre.

Strinsi gli occhi quando nella mente tornarono ad affacciarsi i ricordi. Era accaduto tutto durante il mio primo viaggio all'estero, un regalo dei miei genitori per il diploma. Mia madre non aveva potuto accompagnarmi – era sempre in giro per gli Stati Uniti al seguito del nuovo marito –, quindi Charlie si era offerto volontario. Avevamo visitato Londra, poi Parigi e, infine, eravamo giunti a Firenze, tappa finale del nostro tour europeo. Mancavano pochi giorni al nostro ritorno in America, eravamo usciti a cena e stavamo tornando in hotel, quando all'improvviso eravamo stati accerchiati da una decina di uomini armati a volto coperto.

I miei ricordi di ciò che è accaduto in seguito, prima e dopo i colpi di arma da fuoco, sono nebulosi. So solo che mi ero lanciata contro mio padre, un attimo prima che uno dei criminali iniziasse a sparare. Avevo intuito le sue intenzioni e volevo togliere Charlie dalla linea di fuoco, ma da lì in avanti le cose erano precipitate.

C'erano stati altri spari, poi urla disumane e infine il silenzio, rotto soltanto dal mio respiro affannoso. E lo sguardo vacuo di mio padre, steso a terra al mio fianco, la camicia candida inzuppata di sangue...

A quel pensiero sentii il petto contrarsi per il dolore. Era strano: un essere immortale scolpito nella pietra non avrebbe dovuto poter soffrire in quel modo. Il mio corpo sovrumano non poteva essere scalfito, se non dai denti dei miei simili; non potevo ammalarmi, non dovevo temere incidenti, eppure riuscivo ancora a provare emozioni.

Ma, a giudicare dalle grida soffocate che sentivo giungere dai piani inferiori del palazzo, in quel posto ero l'unica.

Mi riscossi dalle mie riflessioni e annuii in direzione di Marcus. «Lo sai come la penso sulla nostra dieta. Rispetto le vostre...», esitai un istante, alla ricerca del termine più appropriato, «...preferenze, ma non fanno per me».

Il sospiro di Marcus si trasformò in uno sbuffo divertito. «Bella, cara, lo sai che puoi parlare liberamente con me. Non temere di offendermi, non sono permaloso quanto Aro, né...irascibile come Caius».

Storsi la bocca. Irascibile non rendeva nemmeno l'idea. Caius era temibile e letale quanto un cobra a digiuno da mesi. A suo confronto, Aro appariva quasi...indulgente.

I Volturi, il clan di vampiri che mi avevano salvato la vita e poi accolta nella loro antica dimora, non erano degli immortali qualunque. Erano un gruppo numeroso, capeggiato da un triumvirato formato da Aro, Caius e Marcus. Abitavano a Volterra da secoli, ben nascosti dagli umani, in agguato nell'ombra come voraci predatori. I miei simili li consideravano una sorta di famiglia reale, incaricata di vigilare sulla razza dei vampiri. Per questo le nuove trasformazioni e le ammissioni nel clan erano centellinate: i Volturi accettavano soltanto chi dimostrava di possedere un determinato talento. Molti dei miei fratelli adottivi erano straordinariamente dotati: Demetri era un ottimo segugio; Jane riusciva a stendere gli avversari con un solo sguardo; Alec, il suo gemello, era specializzato nella deprivazione sensoriale; Felix e Santiago erano guerrieri formidabili.

Ed io ero uno scudo. Nessuno poteva giocare con la mia mente e i miei pensieri. I poteri di Jane, Alec – perfino quello di Aro – non avevano alcun effetto su di me.

Marcus si appoggiò al muro al mio fianco e mi posò con delicatezza una mano sulla spalla. Alla luce delle stelle la sua pelle aveva il colore della neve, liscia e priva di imperfezioni come lo era la mia. Solo che la sua era molto più fragile. Forse era per quel motivo che rischiavo meno di altri l'ira di Caius. Ero una neonata vampira, molto più forte fisicamente di qualsiasi altro membro del clan dei Volturi. A parte Felix, forse.

Gli occhi rossi di Marcus si specchiarono nei miei. «Sono venuto a cercarti perché devo parlarti di una cosa. Una sorta di...proposta a cui penso da un po' e che, inspiegabilmente, ha ottenuto l'approvazione di Aro».

Inarcai le sopracciglia. Quella era una novità non da poco: sapevo quanto fosse difficile ricevere un sì da Aro, qualsiasi fosse la domanda. Sembrava che il vampiro si divertisse immensamente a cestinare una richiesta dopo l'altra e nessuno era così stupido – o incosciente – da riproporla una seconda volta.

Marcus si chinò verso di me, i lunghi capelli scuri che ondeggiavano nella brezza. «Abbiamo in programma per te una piccola gita. Anzi, potremmo chiamarlo...viaggio di formazione».

A quelle parole la mia curiosità si accese, scacciando l'ondata di malinconia di cui ero prigioniera da giorni. Fissai Marcus, trattenendo a stento l'impazienza di saperne di più.

«Ho convinto Aro a lasciarti partire per il Nuovo Continente. Avevo proposto di lasciarti libera di viaggiare per qualche anno, darti il tempo di conoscere un po' il mondo prima di richiamarti qui». Un altro breve sospiro, stavolta di frustrazione. «Ma, naturalmente, Caius si è opposto. Con estrema fermezza, aggiungerei. Ti ritiene instabile, troppo giovane per essere lasciata da sola, e Aro si è dichiarato d'accordo».

Annuii, per nulla sorpresa. Intuivo che Marcus stava tenendo per sé gran parte della loro discussione, scegliendo con cura le parole per non offendermi. Conoscendolo, di certo Caius aveva usato espressioni molto più brutali per definirmi. Non aveva mai fatto mistero della sua avversione nei miei confronti, né aveva mai perso l'occasione per lanciarmi addosso offese o recriminazioni, o per sottolineare quanto fosse contrario alla mia trasformazione sin dal principio. Ero abituata alle sue minacce costanti, ma riuscivano comunque ad intimorirmi.
Con i Volturi non c'era da scherzare, l'avevo imparato da tempo.

Ma...un viaggio in America? Avrei potuto tornare a casa, anche solo per un breve periodo? Mi sembrava troppo bello per essere vero. Se non avessi saputo che era impossibile, avrei giurato di star sognando.

Cercai di non lasciarmi trasportare troppo dall'entusiasmo, mentre Marcus mi illustrava il programma. «Avevamo già deciso di fare visita a qualche nostra conoscenza in America, un...controllo che non può più essere rimandato». L'espressione di Marcus si incupì appena. «Ho pensato che un cambiamento di ambiente ti avrebbe fatto bene. E poi conoscere altri di noi, vampiri che condividono il tuo punto di vista...».

«Il mio punto di vista?», ripetei, confusa.

Il sorriso di Marcus si fece comprensivo. «I vampiri di cui sarai ospite non si cibano di esseri umani. Hanno scelto di ripiegare sugli animali, proprio come te».

Quella rivelazione mi colpì con la forza di un tornado. Quindi davvero ne esistevano altri! Vampiri che, come me, non condividevano la sete di sangue dei Volturi, che riuscivano a sopravvivere senza commettere un massacro dopo l'altro. Credevo che Carlisle Cullen, a cui Aro aveva accennato in passato, fosse l'unica eccezione.

Marcus chiuse un attimo gli occhi. «Demetri e Santiago partiranno tra qualche giorno, e tu andrai con loro. Ti condurranno da uno dei clan con cui siamo rimasti in contatto, un gruppo di vampiri che vivono stabilmente in Alaska. Rimarrai con loro fino al ritorno dei tuoi fratelli, poi tornerete insieme a Volterra. Si tratta di qualche mese, al massimo». Arricciò le labbra, scoprendo i denti. Di sicuro stava ripensando alla discussione con Caius: il fratello era l'unico che riusciva a infrangere l'aura pacata che avvolgeva sempre Marcus. «Avrei voluto concederti più tempo, una maggiore libertà, ma a quanto pare questo è il massimo che possa ottenere».

«È fantastico», fu tutto quello che mi uscì di bocca. Ero a corto di parole, ma Marcus sembrò percepire la mia sincera gratitudine. Lasciò sfumare l'irritazione e mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi. Dubitavo che un altro membro del clan avesse mai avuto l'opportunità di vederne uno. Marcus era ben lungi dal mostrarsi felice, specie se nei paraggi c'erano Aro e Caius.

Come dargli torto.

«E come viaggeremo? Di certo non posso imbarcarmi in un aereo pieno zeppo di umani...». Il solo pensiero scatenava in me un profondo orrore, a cui faceva eco il bruciore incessante della sete. Sapevo controllarmi, di certo meglio di altri neonati che mi era capitato di incrociare nel palazzo. La maggior parte veniva giudicata troppo instabile e abbattuta senza ulteriori indugi.

La reale portata del mio autocontrollo, del tutto innaturale per un neonato, aveva stupito non poco i Volturi. Ero un esemplare anomalo già da umana e da vampira non facevo eccezione. Eppure conoscevo i miei limiti: non avrei mai potuto rimanere rinchiusa per ore assieme ad un folto gruppo di umani. Lo stesso doveva valere per Demetri e Santiago, che di certo non avevano mai tentato di controllare la loro sete e i loro impulsi.

Il sorriso di Marcus si trasformò in una debole risata. «Userete il mezzo meno rapido, temo. Impiegherete più tempo, ma almeno non rischieremo incidenti. Sono sicuro che nuotare nell'oceano sarà un'esperienza che non dimenticherai tanto presto».

Risi con lui. Nella mia mente si formarono immagini di squali giganti e onde alte come palazzi. Niente di tutto quello ora poteva nuocermi, realizzai con entusiasmo. Avrei potuto trattenere il respiro e immergermi sott'acqua per chilometri, fino a toccare il fondo dell'Atlantico. Avrei potuto...assaporare di nuovo la libertà, dopo due anni prigioniera in quel palazzo del terrore.

Ed era tutto merito di Marcus.

Senza pensare, mi allungai e lo avvolsi in un abbraccio. Non ero mai stata un tipo espansivo, neanche da umana, e sapevo di dover dosare bene la mia forza per non fargli male, ma in quel momento ero talmente felice che avrei potuto persino baciare Aro. Non Caius, no. Lui mi avrebbe volentieri strappato braccia e gambe, se solo avessi osato avvicinarmi.

Marcus mi diede qualche colpetto incerto sulla spalla. Nemmeno lui era abituato a gesti tanto spontanei, né a ricevere dimostrazioni d'affetto. «Grazie», mormorai, stringendo appena la stretta sulla sua schiena. Affondai la guancia nella morbida stoffa del suo mantello, chiudendo gli occhi. «Grazie davvero, Marcus. Non sai quanto significa per me».

Il suo fiato freddo mi sfiorò l'orecchio. Nelle sue parole si celava l'eco di un'antica sofferenza. «Promettimi solo che tornerai, Isabella. Sana e salva».

Le mie dita si contrassero tra le pieghe del mantello. «Lo prometto».

E avrei fatto il possibile per mantenere la parola.

When northern lights are dancingWhere stories live. Discover now