Ogni ape cerca un fiore (II)

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Henryk Sienkiewiez, Premio Nobel per la letteratura 1905, scriveva che la menzogna, come l'olio, galleggia sulla superficie della verità.

La superficie della verità, sulla quale si è basato fino a ora il binomio, è ridotta a una costellazione di goccioline oleose, piccole sferette che aumentano di numero, giorno dopo giorno: Marco è incapace di essere sincero. Ma quest'ultima goccia non possiede un diametro limitato. Si espande sul manto d'acqua, sempre più grande, sempre più fastidiosa, al punto che è impossibile distinguere il vero dal falso.

Chi è l'olio? Marco o Celeste?

Celeste non avrebbe mai avuto nessun motivo di mentirmi, ma al tempo stesso che ragione avrebbe avuto Marco di propinarmi un'ulteriore bugia?

Per lo stesso motivo per cui esce con Celeste.

Marco vuole aria fresca, libertà. E le folate di vento che rispondono al mio nome sono intrise di ondate di cattivo odore. È un olezzo di stantio, il chiuso che si respira in una camera non aperta da molto tempo. Nell'aria che io posso dare a Marco non c'è riciclo, solo acari di polvere.

Polvere vecchia.

Polvere sofferta.

Polvere che entra nelle narici e non si azzarda a uscire dai polmoni.

Polvere velenosa.

Anche io ho la stessa polvere dentro. È una polvere che si chiama binomio e che a due diciottenni potrebbe sembrare una prigione. Ma io, a differenza di Marco, ho fatto di questa prigione la mia casa. L'ho ornata con ghirlande di fiori e cuscini di seta. Lui, invece, si chiede come sia la vita fuori dalle sbarre che abbiamo innalzato attorno a noi.

Così esce con Celeste, la novità.

Arrivata a questo punto, non mi resta che togliere qualche fiore dalla mia parte di prigione. Perché se Marco Zuccato può rendere invivibili le carceri in cui trascorriamo la nostra esistenza, posso benissimo farlo anche io e liberarmi definitivamente di lui.

Con il rischio di impazzire decido di uscire di casa per una sgommata sui roller. Non li uso dall'ultimo anno delle medie, quando erano all'ultimo grido. Poi si sa, le mode sono come le opinioni: cambiano.

Quando infilo i piedi nei pattini a rotelle, capisco che anche le mie capacità di equilibrio sono mutate. Scivolo più in fretta di quanto vorrei e mi attacco a ogni palo o muretto che trovo, perché non so frenare.

Finché non vedo un'ombra stagliarsi all'orizzonte, ma è troppo tardi. I pattini prendono velocità, il naso si schianta contro qualcosa di duro, un urlo rompe la barriera del silenzio, mentre cado a terra, il ginocchio sinistro che gratta sull'asfalto, la pelle scorticata.

Goccioline di sangue colano fino alla caviglia, imprigionata ancora dai pattini. Il viso però non incontra uno strato solido di cemento, ma una stoffa morbida che odora di lavato.

«Ti sei fatta male?»

Con il cuore in gola scatto in ginocchio per staccarmi da Nicola, ma il movimento improvviso mi costringe a premere sulla ferita appena aperta.

«Ferma, ti aiuto.»

Nicola Ulivieri è sdraiato sotto di me e con tutta la delicatezza del mondo sta cercando di rimettersi in piedi, senza costringermi a poggiare il ginocchio graffiato sull'asfalto.

Credo di non avere conosciuto mai persona più buona e disponibile di lui. Non con me, almeno. Basta non lasciarsi spaventare da quell'aura robotica che lo circonda, basta imparare a leggere i piccoli lineamenti di sensibilità che si nascondono dietro la durezza del viso.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora