Cucciolo alla riscossa (II)

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C'era un unico aspetto che odiavo della ginnastica artistica: l'attesa, i cinque minuti prima di vedere il punteggio sul cartellone. La ginnasta è in panchina. È finito il momento di gloria, ma dagli spalti la folla continua a squadrarla. Lei, invece, vorrebbe mangiucchiarsi le unghie, lanciare un urlo liberatorio, coprirsi gli occhi per non vedere il punteggio. Ma il codice le richiede di essere elegante, di piegarsi in un inchino per ringraziare, anche se il numero sul cartellone è ingiusto, troppo basso per un esercizio alla trave talmente complicato.

Mentre guido verso la clinica, torno a essere quella ginnasta in panchina, ma diversa è l'attesa che mi logora.

E se la reazione di Biagio non fosse buona? Se nemmeno si accorgesse del cane?

Quando arriviamo a destinazione, troviamo Biagio con i genitori, in giardino. Lo vedo da lontano, sulla sedia a rotelle, dritto con la schiena, ma solo perché legato da una cintura. Anche Biagio vive un'attesa, peggiore della mia. Aspetta che il cervello si svegli e riprenda a dare ordini, dica alla schiena di stare ritta, alle braccia di muoversi.

«Buongiorno.» Saluto i signori Iachemet e loro rispondono con un cenno del capo.

«Ve lo lasciamo un attimo, va bene?» mi chiede sua madre.

Poi si allontana con l'ex marito verso una panchina, abbastanza vicina per controllarci, abbastanza lontana per darci il nostro spazio.

«Ciao» saluto Biagio, ma lui non mi guarda, né risponde. Mi inginocchio al suo fianco, prendendogli una mano. «Hai visto che siamo tornati? Tra l'altro abbiamo una sorpresa per te.»

La capisce, la parola sorpresa. I suoi occhi sono ancora due biglie dilatate, eppure deve avere capito il senso del discorso, perché distinguo uno sprazzo di consapevolezza nelle pupille nere.

«Io l'ho detto a Nanà che la palla di pulci è orribile» sospira Marco. «Ma sai com'è fatta. È una testa dura!»

Mi fingo offesa. Se ha deciso di recitare una commedia, non mi resta che calarmi nel ruolo, sbucare dalla tenda rossa e dare inizio al primo atto. Biagio sarà il nostro spettatore d'onore.

«Ma senti un po'!» esclamo. «Parla lo zuccone!»

«Dimmi, boccoli rosso sbiadito!»

«Talpa!» lo punto con il dito. «Io ho i capelli lisci!»

«Secchiona!» ride Marco.

«Capra!» Una nuova ditata contro di lui.

«Capra sarai tu!» Marco incrocia le braccia al petto. Il regolamento dovrebbe vietare di replicare con la stessa battuta.

«Allora tu sei l'erba mangiata dalla capra!»

«Ehi! Io me la fumo, l'erba mangiata dalla capra!» Lo conosco troppo bene. Scontato e prevedibile.

«Ti auto-fumi?»

Marco rimane bloccato e io ne approfitto per riprendere fiato. Abbiamo sputato una battuta dietro l'altra, finito il primo atto a una tale rapidità che le nostre voci si sono sovrapposte. L'attenzione di Biagio è su di noi. Non parla, ma nei suoi occhi c'è una miriade di pagliuzze luminose, pensieri che vorrebbe esprimere, ma che ancora non sa ordinare.

«Va beh, dai, rifiliamogli lo sgorbio» acconsente Marco.

Anna stacca il cucciolo dalla tuta verde e lo appoggia sulle gambe del fratello. Trattengo il respiro, ancora accucciata accanto alla sedia a rotelle, studio le reazioni dell'uomo e dell'animale. Il cucciolo trema. Appena incontra un dito di Biagio, si tranquillizza. Biagio guarda in giù. Per la prima volta, mi sembra che stia vedendo qualcosa. Prima la sua espressione era vuota, una tela bianca in cerca di un pittore che le donasse un ritratto. Ora quel cucciolo ha preso il pennello, disegnato una linea obliqua sulle labbra di Biagio, la linea di quello che chiamo "sorriso".

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