Bandiera rossa (I)

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Prima Classico – 2005 / 2006


Le pareti della mia stanza sono un collage di foto e ricordi, scatti di me e Marco in pose sciocche, scontrini sbiaditi di eventi memorabili, caricature eseguite dal suo pugno, bigliettini di sciocchezze scambiati durante le lezioni.

Essere circondati dal nostro passato genera un effetto lama, tira una stilettata secca nel torace, mi vieta di soffocare in casa, ma anche quando sono all'aria aperta, ogni ritaglio di strada, gli angoli del centro, perfino gli alberi che costeggiano il profilo del lago custodiscono interi archivi di ricordi. E io ho la testa che esplode, martellata dal binomio, da un cieco rancore perché... come può essere bastato un breve periodo di lontananza a distruggerci?

Vattene da qui, suggerisce il grillo. Non puoi respirare lo stesso ossigeno di Marco. Non ti avvelena anche solo ricordare gli sbuffi del suo fiato, quando dormivate assieme abbracciati?

Sì.

Sono passati due giorni dall'apertura del diario e convincere mia madre a lasciarmi andare da Valentina è un'impresa titanica. Non capisce la mia assurda richiesta:

«Che vuol dire andartene proprio adesso che il tuo Marco è tornato?»

Le basta dover fronteggiare un pianto a dirotto per riconsiderare la mia idea e ritenerla geniale.

«E poi non ti posso vedere piagnucolare senza sosta, consumare pacchi di fazzoletti e ingozzarti di barattoli di Nutella!»

Mia madre ha proprio un cuore d'oro, no? Quando le elenco i motivi che hanno causato la fine del binomio, scoppia in una fragorosa risata:

«Nina, avete davvero litigato per una chewing-gum persa e un diario vuoto?»

Le sembra un terribile controsenso, un concentrato di banalità, visto che io e Marco professavamo di essere legati dall'amicizia più forte di tutti i mondi e tutti i tempi. Per fortuna mio padre è più comprensivo, anche se credo che mi stia dando manforte solo perché in passato è rimasto scottato dal cognome Zuccato.

«Marco ha lo stesso DNA di Massimo. Sono nati per deludere!»

Quando raggiungo Valentina al mare, ogni sera ribadisce via telefono la stessa solfa: la mela non cade lontana dall'albero, Marco è la fotocopia di Massimo, entrambi possono essere dei grandissimi egoisti.

«Dopo la morte dei nonni, mi sono trasferito da alcuni prozii in Germania» mi racconta. «Avevo solo quindici anni e credevo che il mondo mi fosse finito addosso. In un paese straniero, con gente che non conoscevo, pensavo solo a ritornarmene a casa. E quando sono diventato maggiorenne e finalmente ho rimesso piede in Italia, ho cercato subito Massimo. Io ero senza soldi e dovevo sudare sette camicie per pagare l'affitto. Lui? Un borghesotto tutto mocassini, serate in discoteca e bella vita. Un anno dopo si è fatto una ragazza fissa, Rita, si è iscritto a medicina e per lui sono diventato semplicemente un peso di cui liberarsi.»

Sospira, ancora scottato dalla delusione di un'amicizia in cui aveva riposto troppa fiducia e che invece non aveva saputo sostenerlo nel momento del bisogno.

«Papà, forse doveva venire da te il primo passo. Forse dovevi essere tu a parlargli chiaramente e a riallacciare i rapporti.»

Ma lui è un chiodo impiantato nelle decisioni del passato.

«Ormai eravamo diventati troppo diversi, Nina. Non c'era più niente da fare.»

Papà mi ripete spesso questa storia e tutte le volte sprofondo in quella che Valentina chiama "la buca della depressione da abbandono", perché, anche se sono stata io a lasciare Viacampo, è stato Marco a lasciare me, lo ha fatto quando era a Dublino e ha scelto di estromettermi dalla sua vita.

Binomio - 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora