Capitolo 7

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La Anna era arrivata e mi informò che alle 20 sarebbe rientrato suo padre dal lavoro. Ero felice di conoscerlo e soprattutto felice di potergli chiedere una mano per l'arredamento del mio nuovo attico. Nel frattempo tornò anche la Ale e mi chiese come era andata la giornata. "Ho risolto tutto, scuola, casa, libri e telefono. Dovrò cercarmi un lavoro ora e arredare l'attico" Lei era stupefatta, forse aveva intravisto in me una forte determinazione o forse semplicemente era sconvolta che io mi sentissi così libera.

Ecco, la pasta era pronta, e il padre di Anna, Massimo, era arrivato in cucina dove tutti noi eravamo seduti attorno al tavolo. Mi presentai. Lui era molto gentile, un uomo aperto, assomigliava molto ad Anna, in tutto, nei comportamenti, nel modo di parlare, le assomigliava molto anche di viso. Era la prima volta che mangiavo pasta al ragù, era davvero squisita e feci i complimenti alla Ale. Si stava parlando del più e del meno quando lei disse: "Massimo ti va di aiutare Fancy nell'arredamento della sua futura casa? Sarebbe molto gentile da parte tua". Lui con un gran sorriso accettò e mi disse che avrebbe dovuto vedere l'attico e soprattutto capire che gusto io avessi. Non c'era problema e il domani saremmo andati insieme a dare un'occhiata. Per il momento gli dissi solamente che amavo i mobili moderni, divani spaziosi e che la mia camera l'avrei voluta speciale, calda e che mi facesse ricordare Long Beach. Il mio paese non lo avrei mai dimenticato e mi piaceva pensare di addormentarmi in due posti contemporaneamente, sia a Brescia che rappresentava il mio presente e il mio futuro, sia nella mia vecchia città che simboleggiava il mio passato. Doveva essere un posto in cui avrei potuto sfogarmi nei momenti più tristi ma anche divertirmi e fare nuove esperienze. In quel momento Davide si mise a tossire, mi diede quasi un calcio da sotto il tavolo, ma in realtà non capivo bene il perché. Fortunatamente nessuno si accorse di lui, perché nessuno avrebbe mai immaginato quel che era capitato. "Hai delle idee molto chiare Fancy e sarò felice di aiutarti a arredare la tua casa al meglio. Inoltre, non so se ti interessa, ma un mio amico è il proprietario di un bar qui vicino, potresti chiedere un posto di lavoro dicendo che ti mando proprio io" Mi si illuminarono gli occhi, non avevo mai lavorato in un bar ma l'idea non mi era mai dispiaciuta. Lo sapevo che non avrei potuto prendere uno stipendio alto come prima, ma non mi importava, avrei saputo accontentarmi.

Dopo cena mi scusai e andai nella mia stanza, avevo bisogno di stare un po' da sola. Continuavo a pensare se avevo fatto bene ad andarmene dal mio paese, mi chiedevo cosa in quel momento stesse facendo mia madre, come stava, se le mancavo. A me mancava veramente tanto. Anche se ero abituata ad andarla a cercare nei bar più sporchi di tutta la città, e portarla a casa ubriaca marcia, sentivo che una parte di me se ne era andata. Gia' mio padre l'aveva abbandonata e ora? Avevo fatto la stessa cosa io. Mi sentivo uno schifo, una persona orrenda. Noi avremmo dovuto sorreggerci nei momenti più difficile e invece ognuna delle due piangeva dentro, pensava che così facendo l'altra sarebbe stata meglio... sbagliavamo. Avevo compiuto appena 14 anni, stavamo finendo in strada quando fortunatamente avevo incontrato Ethan. Avevo dovuto crescere più in fretta di tutte le mie amiche, non potevo giocare, non potevo studiare molto, avevo dovuto mettermi a dieta anche se ero già magra e a volte mi mancavano le forze anche solo per svegliarmi, avevo dovuto posare quasi sempre semi nuda, avevo dato via il mio corpo per poter vivere...pensavo più felicemente. Ma fatto sta che ancora adesso, se penso al passato, mi rendo conto che, forse, se saremmo veramente finite sotto un ponte, ci saremmo sostenute a vicenda, invece di nascondersi l'una dall'altra, per non far vedere gli occhi rossi, stanchi di piangere e probabilmente mia mamma non si sarebbe ridotta così. Avrei voluto tanto chiamarla ma...non mi avrebbe risposto. Avrei voluto scriverle una lettera... ma non l'avrebbe neanche aperta, direttamente nel cestino l'avrebbe gettata. Non potevo che lasciare le cose come stavano in questo momento

Mio papà, invece, era sparito quando avevo 9 anni. Me lo ricordo perfettamente, quando tornava dal lavoro io correvo ad abbracciarlo e mi sentivo una principessa. Lui rideva e mi faceva girare per aria, lo leggevo nei suoi occhi che era felice, che mi amava. Non ho mai capito le ragioni per cui se ne era andato e parlarne con mia madre non era proprio possibile. Lui si chiamava Carlo, era davvero l'uomo migliore del mondo, l'uomo che mi ha trasmesso i valori dell'amore, della famiglia, mi ha insegnato a combattere per i miei ideali, a tentare qualunque cosa pur di essere felice. La cosa che mi fa più male è stata la sua ultima frase "Piccolina mia, non ti lascerò mai, sappilo." Tutte le belle parole, tutti bei gesti finiti veramente nel cesso. Avrebbe fatto più bella figura a stare zitto. Perché mi avrebbe dovuto mentire? Lui non lo faceva mai. E' da 8 anni che cerco una spiegazione ma... purtroppo non l'ho ancora trovata. E se con quella frase mi avesse voluto dire qualcosa? Se era come una specie di enigma da risolvere? Okay, ho visto troppi film che finiscono con un lieto fine, ma questo probabilmente sarà diverso. Una, due, tre lacrime, come quasi ogni notte mi addormentavo col cuscino bagnato e il trucco colato.

EffeWhere stories live. Discover now