Capitolo 9

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Era un giorno di sole, si sentiva il cinguettio degli uccelli, la freschezza dell'aria e tutto attorno a me sembrava magico. Avevo voglia di iniziare la scuola ma non volevo mollare quella forte mano che mi teneva stretta. "Tranquilla piccolina mia, vedrai che ti piacerà stare a scuola e conoscerai tanti bambini ma ricordati di essere sempre educata con le maestre, ricordati di dire grazie e per favore. Andrà tutto bene..."

Entrai, mi ritrovai in mezzo a bambini, alcuni piangevano dispiaciuti dell'assenza dei loro genitori, altri ridevano e giocavano facendo amicizia. Io stavo ferma davanti ad una finestra, guardavo il giardino, la libertà. Non mi sentivo in gabbia ma le passeggiate mattutine con mio papà, andare al parco, fare finta di cucinare...mi sarebbe mancato tutto, le mie abitudini o meglio l'improvvisazione. Ogni giorno Carlo si inventava qualcosa di diverso da fare con la sua piccolina. Una maestra mi si avvicinò chiedendomi perché io non andassi a giocare con tutti gli altri bambini. Solo perché non piangevo come una dannata, solo perché non cercavo di scappare non vuol dire che non mi mancasse mio padre. Avrei voluto dirle che mi sentivo incompleta, che avrei voluto tanto il mio eroe, ma mi scusai e andai a giocare tra degli altri bambini.

Cercai il più possibile di colmare il mio vuoto e mentre giocavo con delle macchinine si presentò un bimbo, Stefan. Aveva una risata molto contagiosa, due grandi occhi blu e sebbene lo conoscessi solo da poche ore, eravamo già come fratelli.

Dopo 5 ore suonò la campanella. Corsi fuori cercando mio padre. Eccolo là, felice di vedermi sorridente, mi prese in macchina, mi mise sulla sua Audi R8 grigia e mi portò lontano da quell'edificio, da quella città. Ci dirigemmo verso Glendora, vi erano molte montagne e come sempre accostammo la macchina e iniziammo a camminare. Ad un certo punto mi ritrovai sola, Carlo era sparito, urlavo: "Papà!!!" ma si sentiva solo l'eco, il cinguettio degli uccelli e il fruscio delle foglie. Iniziò a girarmi la testa.

Realizzai che era solo un sogno... o meglio un incubo. Simboleggiava perfettamente la storia tra me e quell'uomo tanto amato che era sparito.

Non riuscii più a dormire, c'era qualcosa che mi turbava. Scesi in cucina, mi feci un caffè e, sebbene fossero solo le 5.30 andai a farmi una corsetta. Passai per vari vicolini deserti di brescia, l'aria era fresca, notai alcuni uomini che dormivano per la strada, dei ragazzi ubriachi fradici. Mi spaventai, iniziarono a urlarmi contro :"Hei bionda, ti va di farci godere un po'? Vuoi da bere? ce ne è ancora molto, basta che apri un po' le gambe" e continuavano con frasi di una volgarità spaventosa... i loro occhi erano rossi, spenti, vuoti, non si reggevano in piedi eppure cercavano di frenarmi, volevano ostacolarmi il passaggio, mi minacciavano. Tremavo ma ciò non mi avrebbe fermato, continuai a correre sempre più veloce e bastò una spintarella per far cadere il ragazzo che avevo davanti...

Decisi che era pericoloso correre a quell'ora, quindi accelerai e tornai subito a casa.

Mi attendeva una giornata interessante, era domenica, sarei andata a fare shopping con Anna e poi sarei ritornata a casa a preparare il materiale scolastico e possibilmente chiarire con Davide. Nessuno poteva trattarmi in questo modo senza una spiegazione! Pensavo "idiota..."


EffeWhere stories live. Discover now