41 - L'effrazione (II)

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Piastrella dopo piastrella, ufficio dopo ufficio, risalii quella striscia di pavimento candido.

Fa che non esca nessuno.

A ogni stanza che superavo, ripetevo quelle parole come un mantra. Volevo mantenere una certa calma per non destare sospetti se qualcuno mi avesse notata, ma alla fine percorsi gli ultimi metri correndo con il cuore in gola, fino alla porta socchiusa dell'ufficio del preside Evans.

Appoggiai i palmi delle mani sul legno, spingendo con foga, e per un attimo un terribile pensiero attraversò la mia mente: non avevo neppure ideato una scusa da utilizzare nel caso in cui il preside non fosse ancora uscito.

Gli occhi di Alex lampeggiarono rassicuranti nella mia direzione, e istintivamente ogni muscolo del mio corpo si rilassò. Ero stata incauta, ma la fortuna era girata dalla mia parte.

«Cosa credi di fare?» mi redarguì con astio. La teca di vetro era aperta accanto a lui, e i libri erano sparpagliati sul mobile in acciaio.

La sua rabbia però non mi faceva né caldo né freddo. O almeno, non era la cosa che mi preoccupava maggiormente al momento. Il tempo, quello era il nostro vero problema.

«Ti aiuto» replicai. Mi mossi con decisione fino all'imponente libreria che occupava un'intera parete, cercando di ignorare la vetrata che si affacciava sul parco dietro la scuola. Mi faceva sentire esposta, ma non c'era spazio per la paura in quel momento.

«Dovevi rimanere con Philip.»

Il suo rimprovero scheggiò l'aria. Alzai di poco lo sguardo, trovandolo a fissarmi con gli occhi socchiusi come se fossi complice di un terribile tradimento.

Storsi il naso. Non aveva alcun diritto di comportarsi così. Ero io quella a dover essere arrabbiata tra noi due. Ero io che ero stata presa nuovamente in giro.

«Certo, ti sarebbe piaciuto» borbottai afferrando lo zaino e aprendolo con uno scatto. Dovevo assicurarmi di prendere qualche volume, prima che si impossessasse lui di tutte le nostre prove.

Alex sospirò. «Non hai capito.»

«E invece ho capito benissimo che volevi tagliarmi fuori di nuovo» ribattei piccata facendo posto per incastrare gli ultimi taccuini. Doveva smetterla di escludermi, e non capivo se ero più irritata con lui per questo suo comportamento o con me stessa per essere sempre così debole quando c'era di mezzo Alex.

«Philip era il tuo alibi, Cassie.» Il suo tono esausto mi fece bloccare con l'ultimo libro ancora stretto tra le dita.

Alibi? Aggrottai la fronte. «Per cosa?»

Si passò le mani tra i capelli. Il solito gesto che faceva quando era nervoso o frustrato per qualche motivo.

«Per il casino che abbiamo combinato» mormorò, tornando a guardarmi.

La schiuma e la carta igienica? Sicuramente non era un bello spettacolo, ma era normale che i ragazzi dell'ultimo anno facessero qualche scherzo prima di lasciare la scuola e io ero non ero una senior. Il preside Evans avrebbe dato la caccia ai responsabili, ma addirittura aver bisogno di un alibi mi sembrava eccessivo.

La sua voce interruppe la catena dei miei pensieri. «Ora però muoviamoci» ordinò ancora rigido, posando l'ultimo annuario.

Richiusi lo zaino assicurandomi di avvolgere il quaderno di trigonometria attorno ai volumi per mimetizzarli. Non era granché, ma mi sarei dovuta accontentare.

Raggiunsi Alex vicino alla porta. Era strano che mi sentissi più al sicuro dentro quella stanza piuttosto che nel corridoio esposta agli occhi di tutti?

IGNIWhere stories live. Discover now