39 - Il piano

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Mi è sempre piaciuto pensare di essere una persona previdente.

So che una bottiglia di acqua deve essere esposta dalle due alle sei ore sotto i raggi del sole per diventare potabile.

So che nel deserto l'escursione termica può superare abbondantemente i trenta gradi centigradi, e che ci sono diciassette famiglie di scorpioni al mondo.

In quel momento però, mi chiesi perché James mi avesse preparata a sopravvivere in situazioni estreme, ma non agli effetti nocivi di un dopo sbornia.

Strizzai piano gli occhi mettendo a fuoco, per la seconda volta in tre giorni, le pareti di una stanza non mia.

Questa volta però, l'azzurro era stato sostituito da un muro interamente coperto di fotografie, e due occhioni da cerbiatta mi scrutavano ovunque voltassi lo sguardo.

Mi sollevai di scatto, ma una potente fitta all'altezza delle tempie mi costrinse a bloccarmi e a portare la mano dietro al capo, come se quella compressione potesse alleviare la mia sofferenza.

«Era ora che ti svegliassi.»

Alice si acciambellò accanto a me, incrociando le gambe affusolate sopra al soffice piumone beige. Le mani erano avvolte attorno a una piccola tazza fumante con raffigurate minuscole margherite dorate.

Sbattei piano le palpebre. «Come...» Come sono arrivata qui? Avrei voluto chiedere. Ma esattamente dove era "qui"?

Ruotai con circospezione il capo verso il resto della stanza. Mi trovavo su un imponente letto in stile ottocento, sormontato da un moderno baldacchino bianco candido. Le pareti erano completamente ricoperte da vecchie locandine di film, mentre una moderna scrivania in vetro ospitava un giradischi traballante.

«Sei a casa mia» chiarì bevendo un sorso di caffè. «Caleb ci ha riportate ieri sera.»

Caleb? Sbattei piano le palpebre. I miei ricordi erano piuttosto confusi ma l'unico volto che era impresso nella mia mente era quello di Alex.

Spalancai appena gli occhi, mentre la consapevolezza del mio gesto mi investì come un torrente in piena. Avevo davvero baciato Alex? O era solamente un sogno frutto dei vaneggiamenti per la tequila?

Improvvisamente alcuni tasselli si incastrarono nella mia testa: gli avevo parlato di mia madre. Lasciai sfuggire un gemito a quella rivelazione e mi passai una mano tra i capelli mentre sprazzi della sera precedente condensavano nella mia mente prendendo lentamente forma. Iniziavo a ricordare i miei vaneggiamenti su Elizabeth e persino sul mio rapporto con James. Ricordavo anche di essermi avvicinata a lui, di averlo baciato e poi... poi il buio.

«Che c'è?» pizzicò Alice guardandomi con attenzione.

Arrossii e abbassai immediatamente lo sguardo, temendo che potesse leggere la risposta a quella domanda nei miei occhi.

«Nulla, non mi ricordavo che ci fosse anche Caleb ieri» iniziai ad articolare con l'imbarazzo incastrato tra le palpebre. «E James mi ucciderà ufficialmente per essere rimasta qui a dormire, devo chiamarlo subito.» Mi sollevai di scatto, ma ancora una volta un giramento di testa mi portò a pressare le mani sull'imponente testiera del letto per non cadere.

«Non hai mai avuto a che fare con una sbronza, eh?» mi chiese pazientemente con l'aria di chi la sapeva lunga. «Caleb ha già avvisato che ti saresti fermata a dormire da me per "ripassare per un compito in classe".» Mimò delle virgolette con le dita a ornare quelle ultime parole.

Feci una smorfia sentendo quella pessima scusa. «E mio padre gli ha creduto?»

«Caleb è molto convincente quando si impegna» confermò immergendo il cucchiaino nella tazza per raccogliere i residui di caffè. James non era esattamente un cane da tartufo per le bugie, ma da quando eravamo a Danvers sembrava, non so, più attento.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora