42 - L'effrazione (III)

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«Alexander Case e Caleb Evans sono pregati di presentarsi in presidenza al più presto.»

Era bastato un attimo. Per un breve istante mi ero concessa di abbassare la guardia, lasciando che l'imbarazzo per le parole di Dean mi facesse dimenticare le vere ragioni che mi rendevano irrequieta.

Provavo sempre un eccessivo senso di colpa quando mi lasciavo andare. Come se fosse a causa mia e della mia disattenzione, se gli eventi negativi si scaricavano, come le nubi scure di un temporale, sulla mia vita.

Mi voltai di scatto verso Alex. La mia apprensione era controbilanciata dalla sua solita maschera impassibile che non lasciava trapelare alcuna emozione.

Perché avevano chiamato proprio loro due? E perché non me? Dopotutto forse non sapevano ancora dei libri rubati.

Feci scorrere lo sguardo su Caleb che al contrario osservava in cagnesco il ragazzo accanto a me. Non riuscivo a capire se fosse perché entrambi avevano già intuito il motivo di quella convocazione, o per qualche altra ragione a me ignota. 

Alex si alzò e, prima che potessi controllare i miei movimenti, le mie dita istintivamente cercarono il suo zaino. Il tessuto ruvido graffiò i miei polpastrelli, mentre rimetteva in spalle la cartella con un movimento fluido.

Non volevo che andasse nell'ufficio del preside con i taccuini nascosti tra gli altri libri di testo. Avrei voluto dirgli di lasciarli qui, che li avrei nascosti io, ma non potevo fare niente, se non sperare che captasse la mia preghiera silenziosa. Tutti i discorsi sul college che aveva fatto a me, valevano anche per lui. E aveva già perso il football, non potevo permettere che rinunciasse ad altro.

I suoi occhi incorniciati da un'espressione tesa incontrarono i miei. «È tutto apposto.» Abbozzò un sorriso che veniva però contrastato dai muscoli rigidi delle sue braccia, dove le vene sembravano risaltare ancora più del solito. «Ci vediamo dopo.» E io non potei fare altro che annuire e guardarlo allontanarsi, per non far sospettare gli altri.

Caleb era già alla porta, probabilmente per evitare di fare la strada con Alex, mentre Alice stava guardando torva Dean. Aspettò pazientemente che fossimo da soli per riversare su di lui tutto il suo astio.

«Ti chiamavano Mr. Sensibilità, eh» soffiò con gli occhi socchiusi. Ancora non riuscivo a capire perché Alice fosse così protettiva nei miei confronti, ma non potevo non apprezzarlo ancora di più, proprio ora che ero così incapace di tenere i pensieri sotto controllo.

Lui replicò indicando la sua figura in maniera ammiccante. «Piccola, ti assicuro che ci sono modi migliori con i quali vengo chiamato.»

Scossi la testa fingendo di dare corda ai loro battibecchi, mentre cercavo di rallentare il battito del mio cuore.

Non potevo continuare a tormentarmi. Dovevo imparare ad avere pazienza perché, per quanto la mia indole organizzata portasse allo stremo i miei nervi, non ero in grado di controllare tutto, e dovevo fare i conti con questa realtà.

Picchiettai la biro sul tavolo, nervosa. «Devi dirmi cosa hai visto l'altra sera.»

Interruppi i vaneggiamenti di Dean sul suo fisico da maschio alfa, guardandomi attorno per essere certa che nessun altro ascoltasse. «Intendo dire, tra me e Alex.» Arrossii, mentre Alice alternava la sua attenzione tra noi due.

Dean fece un sorrisino lascivo. «Lo sai cos'è successo.» Ammiccò nuovamente nella mia direzione e mi costrinsi a non alzare gli occhi al cielo.

«No, non ricordo quasi nulla» puntualizzai. Perché doveva essere così imbarazzante? Non poteva dirmi cosa aveva visto e basta? Perché Alex, a differenza mia, era perfettamente sobrio quella sera, e dovevo capire quanto mi fossi lasciata andare.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora