40 - L'effrazione (I)

Magsimula sa umpisa
                                    

«Ciao.» Aveva divorato la distanza che ci separava senza che neanche me ne fossi accorta.

Arrossii lievemente, facendo un cenno di saluto prima di deviare lo sguardo altrove. «Sei tornato nella squadra?» chiesi accennando al borsone abbandonato contro la sua schiena. In realtà, stavo solamente cercando di recuperare la tranquillità dopo la chiacchierata con Dean. 

Lui scosse la testa con quell'espressione triste che lo attraversava sempre quando parlavamo del football. «Mi alleno e basta» spiegò con un lieve sospiro. «Non gioco.»

Accennai un timido sorriso. «Sono comunque contenta.» Forse era semplicemente un piccolo passo, ma speravo che smettesse di punirsi per ciò che Christian aveva fatto, perché non era giusto che fosse lui a continuare a pagare.

Alla mia risposta sembrò rilassarsi, ma quella serenità durò solamente una frazione di secondo. «So che ti devo delle spiegazioni» esordì, prendendo posto di fronte a me.

Sbattei piano le palpebre. Lui che doveva delle spiegazioni a me? Improvvisamente la terribile sensazione di aver dimenticato una parte importante della serata precedente mi investì.

«Per i sogni» chiarì vedendo la mia espressione perplessa. «Ma la verità è che non ne ho. Sono solamente dei flash confusi che immagino siano ricordi o elaborazioni di essi.» Stava passando le dita tra i capelli come ogni volta che era nervoso, cercando di tirare indietro le ciocche che ricadevano sulla sua fronte. Sembrava smarrito, e io strinsi più forte le mani attorno alla tazza per impedirmi di avvicinarle alle sue.

«A volte sono semplici sensazioni o immagini slegate» continuò con sguardo assente, «ma quando sono entrato nello studio del sindaco è come se fosse scattato qualcosa. Non so spiegare cosa sia successo, so solo che dopo pochi minuti mi sono ritrovato fuori dalla stanza con quei fogli.» Stropicciò la fronte, come se mettere insieme tutti quei pezzi e doverli spiegare ad alta voce gli provocasse un dolore fisico.

«Ti era mai capitato prima?» chiesi piano.

Scosse la testa. Non sembrava intenzionato a dire di più.

«E ne hai mai parlato con qualcuno?» continuai. Questa volta non sentivo di dovermi muovere in punta di piedi. Il mio comportamento dell'altra sera aveva reso evidente che non necessitavo di ulteriori spiegazioni, o che comunque una parte di me lo aveva perdonato ancora prima di rendermene conto razionalmente, eppure aveva deciso comunque di parlarmene.

Liquidò la questione come solo Alex sapeva fare. «Sono iniziati poco dopo la morte di mia madre e avevamo altro per la testa.»

Posai i gomiti sul tavolo, avvicinandomi. «Mi dispiace, e so che pensiamo sempre che ci sia qualcosa di più importante, ma sfogarsi o anche solo confrontarsi con qualcuno serve.» E io ero la prima a non seguire mai il mio stesso consiglio, ma scacciai velocemente quel pensiero.

Alex fece ciondolare la testa senza rispondere. Non sembrava convinto delle mie parole ma non aveva intenzione di dirlo chiaramente.

Provai a cambiare approccio. Non sapevo perché, ma volevo cancellare quell'espressione disorientata dal suo viso. «Qualche settimana fa, nel mio salotto, hai detto che eri arrabbiato. Lo sei ancora?» domandai.

Lui mi guardò imperscrutabile per qualche istante. «Perché me lo chiedi?»

Un sorrisino piegò le mie labbra. Ero sicura che avrebbe risposto con un'altra domanda. «Perché una volta ho letto che la rabbia è la punizione che diamo a noi stessi per l'errore degli altri, e credo che tu in questo modo ti stia costringendo a espiare una colpa non tua.» Gli incubi, i problemi con Christian, la situazione con suo padre... era semplicemente troppo per una persona sola.

IGNITahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon