CAPITOLO 24

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"Poiché nulla era assomigliante a quel tipo di male. A quello smisurato tormento che veniva con il rinnego."

-J.Kai

🔸️[1 mese dopo

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🔸️[1 mese dopo...]🔸️

Non riuscivo a capire perché mi sentissi così in perdita quando si trattava di lui...
Vittima delle sue azioni, delle scelte che prendeva, decisioni che condizionavano anche me. Nonostante non lo volessi, o nonostante cercassi in tutti i modi di estirparlo dalla mia mente.
Nato per molto e io per meno. Come se tutti i miei inizi morissero quando lui cominciava.

Irruento nel suo essere e tagliente nelle sue risposte brevi.

Quasi un solitario qualcuno avrebbe potuto dire, ma non credo fosse uno di quelli. Credo fosse se stesso al cento per cento.

Qualcuno che avresti inserito in un un'affresco ottenebrato, spezzato sotto il peso della notte nera. E tuttavia, figlio della luce diurna.

Un vulcano in eruzione, un soggetto pericoloso, dove si diceva di percepire un'instabilità sottile e in altri casi, una tossica bellezza. Eppure nulla del male, nulla di quello che avevo provato nella sua assenza.

"Custodisci il tuo cuore, Bea. Nascondilo anche a me".

La stessa frase incastonata nella mia mente per un mese intero. Un mese dalla sua scomparsa. Così improvvisa e dal sapore doloroso.
Non a caso, mi aveva detto quelle parole, perché in qualche modo lo aveva intuito. Aveva previsto, che mi avrebbe ferita di nuovo.

La sera seguente al "Lion's Den", Jonathan Eyre aveva fatto irruzione in casa nostra. L'espressione completamente devastata. Io e mio padre lo avevamo soccorso allarmati. Tutti e due, preoccupati dal suo stato d'animo. E poi lui, si era sciolto in una frustrazione tale, da rivelarci la paura che serbava per sua moglie in ospedale e il distacco di Jace.

Non era tornato a casa quel giorno, né il giorno prima di quello.

Jonathan aveva detto che era suo solito sparire, ma mai per quattro giorni di fila, senza neanche far sapere la sua posizione. Inizialmente, non mi ero spaventata così tanto, perché in fondo, da una persona come lui, me lo aspettavo; ma poi, con le settimane avvenire, avevo cominciato a diventare sempre più paranoica.

E poi agitata.

Nelle settimane seguenti, avevo cercato Demerya a scuola, impaziente, pregandola di dirmi se aveva sue notizie.

E inizialmente si era rifiutata, anzi, mi aveva persino minacciata di lasciarla in pace o sarebbero stati guai seri.

Tuttavia, dopo diversi giorni, aveva infine richiesto un appuntamento con me.

E ora mi trovavo seduta in sua compagnia, all'interno di una caffetteria tranquilla.
Poche persone occupavano i tavoli rotondi e la musica Jazz, di sottofondo, rendeva il tutto più apprezzabile.
Avevo ordinato una cioccolata calda, al contrario di lei, che invece non aveva ordinato niente.
Un'aria fredda girava all'esterno, e io me ne stavo chiusa nella mia lunga giacca a vento, color beige, accompagnata da una sciarpa bianca.
E da quando eravamo arrivate qui, Demerya non aveva ancora abbandonato la sua espressione cupa. La testa completamente sorretta dal braccio e la mente altrove, lontana dalla realtà in cui eravamo presenti.
-Ricordi la ragazza bionda che mi avevi descritto quella sera?-
Annuii, con un cenno della testa, sorseggiando la bevanda in silenzio.
-Ebbene, ho saputo che lei è la causa della sua scomparsa... Resta solo capire se la costretto o se ci è andato di sua spontanea volontà-
Corrugai la fronte, in parte confusa.
-Perché mai dovrebbe andarci di sua spontaneità? Insomma... Ha la madre in ospedale e sua sorella da...-
Mi fermai ancor più perplessa, mettendo in considerazione l'università e tutte le sue attività che aveva lasciato in sospeso.
-Nulla che non farebbe Jace. Pensi davvero che non potrebbe fare una cosa del genere?-
Demerya si sciolse in un sorrisetto furbo, prendendosi beffe di me.
-È uno dei tanti motivi perché mi sono innamorata...-
Le pupille vivide e fredde; seppure, per qualche motivo appariva stanca, quasi come se avesse passato delle notti in bianco.
-Lui è imprevedibile-
Annotai quella nuova informazione nel cassetto della mia mente, riflettendo sulle sue parole.
-Quindi, assumendo che ci è andato di sua spontanea volontà. Perché non metterti al corrente? A meno che...-
Demerya mi interruppe, incrociando le dita smaltate sul tavolo.
Portava una giacca nera, quel pomeriggio, i boccoli sciolti in tutta la loro voluminosità, in armonia con il rossetto rosso.
-...A meno che, non volesse appunto tenermelo nascosto, sapendo che lo avrei fermato. Proprio come avresti potuto fare tu o la sua famiglia...-
Una nota di veleno nel suo tono, un'accusa nascosta, a momenti, come se pensasse che la stessi incolpando di non essere riuscita a fermarlo.

-Sai quando potrebbe tornare?-

Lei fece spallucce, ravvivandosi la chioma ramata.
-Perché lo chiedi? Starai qui ad aspettarlo? A soccombere a ogni suo capriccio?-
Sgranai gli occhi, stupita.
-Perché dovrei?-ribattei infastidita.
Le mani strette attorno al mio bicchiere caldo.
-Bhé io sono la sua ragazza... Ho il diritto di aspettarlo ma tu... Tu cosa sei?-
Corrugai la fronte, potendo chiaramente percepire la rabbia nel fondo dello stomaco. Scocciata dal modo in cui Demerya, trasformava ogni nostra conversazione in una questione di rivalità.
-Non ti devo nessuna spiegazione. Eh no, non starò qui ad aspettare nessuno!-
Mi alzai, abbandonando la cioccolata oramai finita, la borsa in spalle, e senza aspettare una risposta, mi avviai verso l'uscita del locale.
Forse, da una parte, ferita all'idea di aver pensato qualcosa di diverso, ovvero, per via del modo in cui mi aveva parlato quella sera. Per come mi avevano guardato i suoi occhi, il tocco gentile e la maniera in cui mi aveva consolato.
Ero certa di aver colto qualcosa di nuovo nelle sue parole. E per un attimo, avevo creduto che dopotutto, forse, esisteva qualche parte di lui che mi considerava importante; o forse, mi ero sbagliata di nuovo.

🔸️🔸️🔸️

Al mio ritorno, trovai mio padre seduto in soggiorno. Era indaffarato come al solito, intento ad aprire una pila di buste sul tavolo.
-Ciao Pa'-
Lui alzò lo sguardo, salutandomi con un cenno della testa. Mi tolsi la giacca e la sciarpa appendendo tutto sugli appendiabiti, inclusa la borsa. E poi, mi feci strada in cucina per cercare cosa mangiare, o meglio qualcosa con cui tenermi occupata.
-Beatrice... Ti devo parlare-
Mi allarmai, aguzzando l'udito con aria sospetta.
-Sì, dimmi-
Aggrotai la fronte, continuando a versare i pop corn nella ciotola verde.
Irrequieta, a causa del suo tono insolito e severo.
-Devi venire qui in soggiorno, però-
Sospirai, spostandomi con il cibo, per poi lentamente, sedermi sulla poltrona.
Mio padre tolse gli occhiali sul naso, fissando i suoi occhi grigi nei miei.
L'espressione ansiosa e intensa. Abbastanza da poterne sentire gli effetti sulla pelle.
-Si papà? Mi metti Ansia...- risposi, raggelata sul posto.
Lui sbuffò, prima di parlare, aumentando ancor di più la mia inquietudine.
-Per caso, Jace ti ha detto qualcosa dell'incidente? Insomma... Ti sei ricordata qualcosa? Voglio solo capire, se gli hai detto qualcosa che potrebbe averlo allontanato...-

BE HONEST (In Revisione)Where stories live. Discover now