CAPITOLO 29

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"Io ti conosco, c'era una volta in cui ho camminato con te in un sogno...".

-La Bella Addormentata, Once Upon A Dream

-Tutto bene, Bea?-Mi accigliai, sollevando il capo

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-Tutto bene, Bea?-
Mi accigliai, sollevando il capo. Mio padre stava sulla soglia del soggiorno a braccia conserte. Il sopracciglio inarcato verso l'alto, quasi come se stesse cercando di scorgere un'incongruenza. Mettermi a fuoco.
Un uomo in missione pronto a spodestare la mia quiete.
Alzai gli occhi al cielo, preparandomi mentalmente a qualunque cosa, che sarebbe proceduta dalla sua bocca.
-Sì, perché...?-
Lo sguardo di nuovo fisso su i pennelli sporchi di tempera, i fogli sparsi e il progetto incompleto. Di solito non ero così disordinata ma ultimamente, non capivo in cosa mi stavo trasformando.
Riordinai gli acrilici nella scatola, mettendo apposto le mie attrezzature d'arte.
Mio padre restò in osservazione per qualche secondo in più, prima di parlare.

-Non voglio essere invasivo ma... Da quando ti adoperi in molteplici attività?-

Mi irrigidii, sistemando lo sguardo su di lui, aspettando che finisse di esprimersi.

-Mi è stato detto che stai frequentando diversi corsi in contemporanea con gli studi. Insomma... Son contento che mia figlia sia iper produttiva ma, non ti sembra di esagerare?-

Scossi il capo, facendo spallucce, consapevole del perché, tuttavia, non volevo parlarne.

-No. Trovo controproducente il poco lavoro-
Mio padre storse la bocca in una smorfia di disappunto.

-Lavorare troppo non ti rende una persona migliore, cosa ti rende efficace, è l'obiettivo dietro ogni cosa che fai-

Sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia.

-Preferisco fare poco che fare tanto senza scopo, o peggio, con una motivazione malsana- concluse lui, dileguandosi nella cucina.

Socchiusi gli occhi irritata, scocciata all'idea che mio padre mi avesse letto così facilmente. E in più, che avesse anche ragione.
E questo perché ultimamente mi stavo soffocando.
Mi stavo riempiendo di attività da fare per ammazzare il tempo.  E se lavoravo, non dovevo pensare e se non pensavo, non mi sentivo in colpa.
Diversi fattori mi avevano spinta a cominciare svariate attività dopo la scuola:  palestra, pittura, poesia, canto e letteratura. E tra una cosa e l'altra avevo cominciato a trascurarmi a tal punto da sembrare una moribonda.
Oltre a questo, avevo anche cominciato a frequentare Damien. Non come fidanzati, ma solo come amici.
Mi ero lasciata convincere da Cinthya, la quale aveva insistito di dargli una possibilità, e successivamente lo avevo cercato su Facebook.
Mi ero poi scusata per avergli dato buca e avevamo cominciato a uscire insieme.
Stasera aveva scelto il cinema e sarebbe venuto a prendermi alle otto.

Continua a evitare il vero problema...!

Strinsi i pugni ignorando la mia coscienza, voltando invece lo sguardo, verso l'ampia finestra. Verso la candida neve che scendeva in fiochi leggiadri, volendo essere come loro. Priva di ogni peso e di ogni senso di responsabilità. Volevo solo cadere senza ripercussioni. Senza preoccuparmi delle conseguenze.

Giorni vuoti e senza un senso.

Due mesi andati con il vento e ora, stavamo entrando a novembre. E io non avevo fatto altro che logorarmi. Incolparmi.

Vi erano giorni in cui ritrovavo la grinta e il positivismo nelle cose, ma poi, non appena rivedevo alcuni dei luoghi frequentati da lui, tutto ritornava come prima e il cuore mi doleva. Non ero riuscita nemmeno ad andare a trovare Katelyn, che povera, stava sicuramente male. E solo l'idea di oltrepassare il loro ingresso mi dava il voltastomaco. Troppi ricordi in quella casa. Il suo profumo ancora infestava quelle mura come un fantasma.

🔸️[Nel tardo pomeriggio...]🔸️

DAMIEN

Fermai l'auto davanti al suo viale.
Dinnanzi a una casa azzurra, ornata dal giardino pieno di fiori e l'orto accanto. Appariva quasi come una casa di campagna se non fosse per lo stile ricercato. Le grandi finestre e la porta blu dal tocco moderno.
Sfilai il cellulare mandandole un messaggio, impaziente di vederla.

(Messaggio in uscita):
Ciao Beatrice! Sono qui.

Beatrice (Messaggio in arrivo):
"Oh okay! Scendo."

Sorrisi appena, mettendo via il cellulare, posando nuovamente gli occhi sulla porta d'ingresso.
Stranamente curioso di conoscere il tipo di persona che era, e del perché Jace ne fosse così affetto.
E forse nel comprendere lei, avrei anche scoperto il suo punto debole. Scovato il motivo dietro le sue azioni, il senso di preservamento che manifestava.

Doveva assolutamente esserci qualcosa, e Jace non poteva apparire così imperturbabile. Duro da scalfire.
Avrebbe dovuto piegarsi nello stesso modo in cui aveva spezzato la nostra amicizia. E per quello ero pronto a prendermi tutto, anche Beatrice Herondale, seppure la sua bella persona non era da corrompere. Non era da coinvolgere in tutto questo.
-Ciao...-
Mi voltai in tempo per vederla aprire la portiera.
-Ciao a te-
Si sedette sul sedile, allacciandosi la cintura. I lunghi capelli luminosi e il viso stanco. I lineamenti armoniosi, nonostante la visibile fatica. E per un secondo, mi scordai di tutto il male che stavo progettando di fare a Jace.
Lei, per qualche insolito motivo, non se lo meritava.
-Cosa andiamo a vedere?-
Il tono dolce e paziente.
-Quello che vuoi, scegli tu-
Lei arrossì leggermente, tenendo lo sguardo basso; suscitando sconosciute emozioni nel mio stomaco. Piaceri fin oltre l'inguine.
Misi in moto l'auto, imboccando la strada, la mano sinistra sulla marcia e l'altra sul volante. E per un po' restai in silenzio a godermi la sua compagnia, fino a quando,  non potei chiaramente notare la felpa rossa che portava. Oltre a essere il doppio di lei, aveva una piccola incisione sul bordo della manica destra. Due iniziali famigliari.

"J.E" (Jace Eyre).

Un'ira sottile mi avvolse, riportando a galla un vecchio ricordo avuto con Jace.
Una confessione che mi aveva fatto, quando eravamo ancora inseparabili.

🔸️🔸️

|Flashback|

-Quindi porta ancora la tua felpa, nonostante non si ricordi di te?-
Jace socchiuse gli occhi, rilasciando una nuvola di fumo dalla sigaretta. Un'espressione addolorata che nascose in fretta. Convinto, che l'esposizione dei sentimenti non lo rendesse forte ma debole.
Damien stava invece seduto sulla sedia di fianco a lui, davanti allo spettacolo della città notturna. I colori delle auto e degli edifici che riempivano Las Vegas.
-È in pratica l'unica cosa appagante, in tutto questa merda....- rispose, buttando il mozzicone fuori dal balcone.
- Ti rende felice sapere che lo tiene?-
Jace si alzò in piedi, scrutando l'amico con attenzione. Le mani infossate nelle tasche dei pantaloni.
-Risparmia le domande... Non aggiungerò altro-
Damien sorrise appena, consapevole di quanto odiasse parlare di lui e di ciò che provava.
-La tiene perché sa di qualcosa di bello. Lei sa che la felpa ha che fare con qualcosa che la rendeva felice. Anche se non ricorda cosa...-
Jace scosse il capo avanzando verso l'interno.
-Non ti ho chiesto la traduzione delle sue intenzioni...- disse pacato. Freddo.
-Eppure, ammettilo, volevi sentirtelo dire...-
Si fermò sui suoi passi, senza però voltarsi verso Damien. Attraversato da vecchi e remoti ricordi.
-La rendi felice Jace...-

🔸️🔸️

-Tutto okay...?-
Fui riportato al presente dal tono carezzevole di Beatrice, il quale mi persuase dal compiere qualcosa di vendicativo.
Volevo confessarle che la felpa era di Jace, solo per vedere come avrebbe reagito, o se si sarebbe poi sciolta in lacrime. Volevo vedere la sua amnesia e lo shock sul suo bel viso. Il dolore impresso nella carne e negli occhi. Tuttavia, lasciai perdere, dissolvendo la rabbia per un altro momento.
-Sì, grazie...-

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