Non ebbi modo di replicare però, perché per una frazione di secondo, i miei occhi si incollarono a una figura che ormai conoscevo fin troppo bene. Percorsero il contorno di quei capelli arruffati e di quelle braccia tese a incastrarsi nelle tasche dei jeans. Così alto che svettava senza problemi tra tutti quei giocatori di football.

Alex invertì la sua rotta venendo verso di noi, ma il suo sguardo era concentrato sul gruppo di amici che lo circondava. Philip Reese gli diede un leggero pugno sul braccio, e un altro ragazzo della squadra gli si parò di fronte, camminando all'indietro e gesticolando, mentre con le mani faceva ampi movimenti a mimare una parata.

Sentivo la voce di Alice che continuava a ronzare come una cantilena lontana, mentre il mio cuore iniziava a tamburellare talmente forte da sovrastare qualsiasi altro rumore.

Cosa avrei dovuto fare? Cosa avrei dovuto dire? Una parte di me voleva sentire le sue parole, ma era proprio quella parte che il mio orgoglio mi diceva di mettere a tacere.

Quelle domande rimbalzarono nella mia testa come palline da ping pong, confondendo ulteriormente i miei pensieri.

Risvegliai i muscoli dalla posa rigida che avevano assunto avanzando un passo in direzione del corridoio, quando Alex voltò il capo nella mia direzione.

I nostri sguardi si incatenarono e sul suo viso comparve un'espressione seria. Sgranai gli occhi e schiusi le labbra, incerta di ciò che avrei potuto dire, mentre il suo gruppo continuava ad avvicinarsi a noi.

I secondi passavano e io lo stavo guardando troppo a lungo, ma lui stava facendo lo stesso con me. Sentivo di dover reagire, ma non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi.

Alla fine, lo fece lui per me. Voltò la testa con una tale indifferenza che sentii chiaramente qualcosa lacerarsi all'altezza dello stomaco. Come se quel movimento brusco mi avesse privato di qualcosa.

Mi superò senza degnarmi di un'ulteriore occhiata e, quando uscì dalla mia visuale, l'aria tornò con fatica a riempirmi i polmoni.

***

Aristotele è stato uno dei primi filosofi a considerare l'uomo come parte integrante della società in cui vive. Il nostro essere è frutto di una costante contaminazione. Il luogo in cui siamo cresciuti, le persone che frequentiamo plasmano irrimediabilmente i nostri tratti.

Da James avevo ereditato tanto la pelle chiara, quanto la passione per lo sport in televisione. Il modo in cui assottigliavo gli occhi quando ero concentrata, così come la testardaggine anche quando ero consapevole di aver torto.

L'ambiente universitario nel quale ero cresciuta però, mi aveva trasmesso anche la logica, il metodo e il rigore. Mi aveva insegnato, che se l'ostacolo di fronte ai tuoi occhi ti sembra troppo grande, forse è la tua motivazione a non essere sufficiente.

E io, nonostante la situazione con Alex, non avevo perso di vista il mio obiettivo finale.

Mi appollaiai su una delle sedie in ultima fila e feci bella mostra del mio libro di fisica accuratamente sottolineato. Il professor Webb era troppo insicuro per avventurarsi oltre i perfettini dei primi banchi, ma era meglio essere prudenti.

Sfilai il portatile dal mio zaino e mi mimetizzai accuratamente dietro la schiena di uno dei ragazzi seduti di fronte a me.

Avevo due elementi da verificare. Il percorso a South Hamilton e la costellazione di Cassiopea.

Pressai le dita contro i tasti del computer con cura, cercando di produrre il minor rumore possibile. Qualche secondo dopo, ero già concentrata sui risultati che avevo di fronte.

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