46 • Tu Sei Una Mia Priorità

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Stanotte ho dormito poco e niente

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Stanotte ho dormito poco e niente.
E non che non l'avessi previsto.
Le sensazioni della giornata, belle o brutte che fossero, hanno continuato a vorticarmi nel petto e nello stomaco senza darmi pace.
In più, sapere che Evan stava riposando a pochi metri da me e non poter condividere il letto e i sogni con lui, mi faceva letteralmente prudere le mani.
Un anno fa, riabituarmi a dormire da sola dopo mesi in cui avevo trascorso ogni singola notte tra le sue braccia, avvolta dal suo profumo e dal suo calore, è stata una delle cose più difficili che mi sono trovata costretta ad affrontare.
L'ho voluto io, lo so. Così com'è so che non si può sempre ottenere tutto dalla vita e spesso è necessario fare delle scelte.
Ciò non toglie che la consapevolezza non rende più facile affrontare la realtà.
La consapevolezza, non placa né cancella i desideri nascosti nel profondo della nostra anima.
Ad ogni modo, alla fine sono riuscita a chiudere occhio alle prime luci dell'alba, e quando mi sveglio il cellulare mi informa che sono già le dieci passate. I bambini si saranno sicuramente già attivati.
Esco dalla mia camera, tendo le orecchie e mi incammino verso la cucina, guidata dal rumore di piatti che sbattono e da un vociare allegro.
Trovo tutti al tavolo, ancora in pigiama e concentrati sul cibo che hanno davanti.
<<Zio Evan ha fatto i pancake, come papà!>> esulta Kade.
<<Siii, i pancake!>> gli da man forte Arya, infilandosi un pezzo enorme di quella prelibatezza in bocca e agitando le manine.
Mi chino a dare un bacio sulla testa e un veloce abbraccio a entrambi. Sono così adorabili che vorrei stritolarli. E forse mia sorella me lo permetterebbe anche, ma Kade è nella fase in cui sopporta a stento abbracci e moine che durino più di due secondi.
<<Ehy, non me ne avete lasciato neanche uno?>> mi lamento, affamata.
Lancio uno sguardo torvo ad Evan, e il sorrisetto soddisfatto che ha sulle labbra mi suggerisce che lasciarmi a bocca asciutta era intenzionale.
<<Non guardare me, è zio Evan che ha messo sul piatto tutti quelli che erano rimasti>> si difende mio fratello.
Ma non mi dire.
Decisa a non dargliela vinta e a farlo innervosire, mi accosto al suo orecchio per non farmi sentire dai bambini.
<<Hai riesumato i dispetti che facevi all'asilo? Molto maturo, davvero>>
Poi mi siedo al mio posto, gli sfilo il piatto da sotto il naso e la forchetta dalle dita, infilzo un pezzo di pancake ricoperto di sciroppo d'acero e gocce di cioccolato, e me lo porto alla bocca.
Il tutto con gli occhi fissi in quelli del mio momentaneo acerrimo nemico.
Direi che l'ho scioccato e infastidito abbastanza. Ottimo.
Non contenta, prendo anche il suo latte macchiato e ne bevo un gran sorso.
<<Quelli erano i miei pancake. E in quella tazza c'era il mio cappuccino>>
<<E adesso sono i miei pancake e il mio cappuccino. E comunque, dov'è finita la tua galanteria?>> lo accuso, con un sorrisetto innocente.
<<Meglio se non te lo dico>> sibila, prima di alzarsi da tavola e dirigersi al piano superiore.
<<Lo faccio per te! Se li avessi mangiati tutti ti sarebbe venuto mal di pancia>> gli urlo dietro.
Mmh, questa giornata potrebbe rivelarsi persino divertente.

Per pranzo, sotto richiesta dei miei fratelli, decidiamo di andare a mangiare al McDonald's.
Il panino gigante e le patatine fritte che ordino, mi rigenerano come poche altre cose al mondo.
Il cibo unto e fritto ha dei poterei magici, sempre stata convinta.
<<Posso pagare la mia parte>> fermo Evan, quando fa per alzarsi e andare alla cassa.
<<Non farmi incazzare>> è tutto ciò che replica.
Lo prendo come un no. E anche come il massimo che otterrò da lui in quanto a gentilezza, oggi.
<<Be', allora grazie>>
Lui alza gli occhi al cielo e io vorrei dirgli che non deve per forza fare l'antipatico ogni singolo minuto della giornata, ma poi mi mordo la lingua e resto zitta.
Quando usciamo, andiamo a fare una passeggiata al porto. Poi ci fermiamo al parco, dove Kade trascina Arya verso dei gonfiabili giganti.
Dio, spero che non vomitino il pranzo a furia di saltare con tanta insistenza.
Io ed Evan intanto ci accomodiamo su una panchina, al sole, e li guardiamo giocare mentre ci godiamo la brezza tiepida del primo pomeriggio.
<<Allora, chi si occuperà di loro se dovessero vomitare tutto quello che hanno mangiato?>> esordisco, incapace di reggere oltre questo silenzio.
<<Tu, ovviamente>>
<<Cosa? E perché mai?>> mi indispettisco, incrociando le braccia e guardandolo contrariata.
<<Perché me lo devi>>
Scommetto che userai questa carta molto spesso, eh?
<<Ma per favore. Un bambino a testa>> stabilisco, portandomi una mano al petto quando mio fratello si esibisce in un'acrobazia che per poco non lo fa volare fuori dal gonfiabile a castello.
Gesù, quel bambino è un terremoto.
<<Sì, certo. Kade, vacci piano!>>
Ma guardateci mentre battibecchiamo su questioni di ordinaria amministrazione, e ci dividiamo i compiti come due bravi coniugi.
<<Potremmo essere degli ottimi genitori, io e te. Siamo una bella squadra>> sospiro.
E sul serio, non so perché lo dico. La mia mente deve essersi persa -come accade spesso- in scenari semi-utopici, e il filtro bocca-cervello andato a farsi benedire.
Quella frase è uscita fuori direttamente dal cuore.
Subito controllo il viso di Evan, che invece di incresparsi di rabbia come mi aspettavo, si rabbuia e si fa triste.
<<Scusami. Non so perché l'ho detto>>
Ti prego, ti prego, ti prego, non facciamo un'altra scenata adesso.
<<Dovresti smettere di pensare o immaginare certe cose. Lo dico per te, Summer. Sii più realista o ti farai molto male>>
<<Mi stai dicendo che qualsiasi fantasia riguardi il costruirmi una famiglia con te, non è realista?>>
<<Sei davvero così stupida da aspettarti diversamente?>> mi attacca, cambiando tono di voce.
Si è di nuovo arrabbiato.
Senza darmi modo di difendermi, si alza dalla panchina e raggiunge i bambini. Li avvisa che hanno ancora dieci minuti a disposizione prima di tornare a casa, e resta lì con loro.
D'accordo. Discussione chiusa.
È ancora metà pomeriggio quando rincasiamo, e se credevo che Kade e Arya una volta tornati sarebbero crollati, mi sbagliavo di grosso.
Hanno talmente tanta adrenalina in corpo in questi giorni, che non stanno fermi un attimo.
Alla fine ci mettiamo di nuovo a fare i biscotti, e ad un certo punto, mentre tutti stiamo lavorando un pezzo di impasto, della farina mi finisce sui capelli e sui vestiti.
<<Ops, colpa mia. Mi dispiace tanto>>
Evan.
Quanto vorrei cancellargli quel sorriso sornione dal viso, a furia di baci.
Lo diverte proprio tanto attuare questi dispetti da asilo.
Soprattutto perché sa quanto io detesti sporcarmi i capelli e i vestiti.
Se ne sarà sicuramente ricordato.
Ok. Come vuoi. So giocare anch'io.
Prendo un pugno di farina dal sacchetto, e glielo lancio dritto in faccia.
<<Figurati>> rispondo, ammiccando.
Ho giusto il tempo di registrare i suoi occhi assottigliarsi. Poi, in un attimo, è il caos.
I bambini non perdono tempo ad imitarci e a far volare farina, zucchero e gocce di cioccolato ovunque.
Generiamo una lotta col cibo a tutti gli effetti, e riempiamo la stanza di urla e risate.
E be', di cibo.
La risata di Evan.
Quella sincera, schietta, squillante, potente, in grado di riempire l'intera casa e coprire qualsiasi altro rumore.
Mi era mancata. Da morire.
E lo vedo il momento esatto in cui quasi torna bambino anche lui e si diverte così tanto da dimenticarsi tutto. Lo memorizzo con un pennarello indelebile l'istante in cui mi lancia altra farina ma continuando a ridere, scordandosi forse chi sono, forse semplicemente ciò che gli ho fatto.
Dio, ti prego ferma il tempo.
Fermalo subito e fammi vivere per sempre dentro a questo attimo.
Non appena finiamo gli ingredienti da lanciare e  siamo in debito di ossigeno per via di tutte le risate, spediamo Kade e Arya in bagno e li infiliamo nella vasca per fargli un bel bagno.
Mentre io insapono mia sorella ed Evan si occupa di Kade, mentre i miei fratelli si divertono ancora a schizzarci di acqua e schiuma, questo momento mi ricorda un film che ho guardato da adolescente. Ricordo di aver desiderato di realizzare qualcosa di simile, un giorno.
Ci ero andata così vicino.
Chissà cosa avrei oggi se quel giorno di oltre un anno fa, avessi risposto di sì.
Chissà se un piccolo Evan non starebbe crescendo nella mia pancia, o se avrei già un minuscolo fagottino tra le braccia, o se io e lui ci staremmo dando dentro notte e giorno per allargare la nostra famiglia.
<<Summer?>>
La voce preoccupata di Evan mi riporta alla realtà.
Dalla maniera in cui mi guarda, intuisco che ha visto qualcosa di strano.
E solo allora mi accorgo delle lacrime che mi rigano le guance.
Merda.
Incapace di fornire una qualsiasi spiegazione, mi alzo dal pavimento e fuggo via da quel bagno.
Ho bisogno di riprendermi per conto mio, senza un pubblico che si domandi che diavolo io abbia che non va.
Già. A proposito. Che diavolo hai che non va, Summer?

Rompi Questo Silenzio (Until I Breathe #2)Where stories live. Discover now