34 - La partita

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Le rivolsi un sorriso dolce, ma per paura che potesse cambiare idea, raccolsi da terra il mio zaino, calcandolo in spalla, e mi lanciai fuori da quella stanza dall'aria viziata.

Nuvole plumbee incupivano l'esterno, coprendo il cielo a vista d'occhio con il loro grigiore. Avevano caricato l'aria di quel tipico sentore di umidità, pioggia e terriccio che caratterizzava la scomparsa dell'estate e l'inizio della stagione autunnale, nonostante fosse già novembre inoltrato.

Uno schiaffo di vento mi fece rabbrividire e mi strinsi istintivamente nel leggero top con lo stemma dei falchi. Intravidi il campo in lontananza e affrettai il passo.

La precedente partita contro di Castori di Middelton era niente in confronto allo stuolo di persone ammassate su quella imponente struttura di ferro. Che Danvers e Beverly avessero un conflitto personale, lo avevo capito dall'estremo sforzo con il quale la nostra scuola aveva organizzato l'evento. Era come se entrambe volessero dimostrare di essere la migliore in ogni campo. Da quello da football, alla varietà degli snack offerti prima della partita.

«Si può sapere dove eri finita?» La voce profonda di Alex mi inchiodò al suolo.

Mi voltai di scatto e trovai la sua figura piantata contro al muro che dava sugli spogliatoi. Una spalla appoggiata alla parete e le caviglie mollemente incrociate a sostenere la sua figura. Era intento a rigirare una sigaretta tra le dita, anche se non sembrava davvero intenzionato ad avvicinarla alla bocca.

Ciao anche a te.

Ignorai il fastidio per il suo costante rifiuto in tema di convenzioni sociali e mi avvicinai di qualche passo.

«Ero alle prove.» Non avevo bisogno di giustificarmi ma, per la buona riuscita della nostra collaborazione, gli diedi comunque una spiegazione.

Quando lo raggiunsi, buttò la sigaretta a terra e la spense lentamente facendo pressione con il piede. «E alle prove, Alice si comporta da dittatrice e non vi permette di utilizzare il telefono?»

Sbattei piano gli occhi. Era ironico che proprio lui si stesse lamentando della mia reperibilità.

«Beh, neppure tu mi hai risposto questa mattina, ma ora siamo qui» replicai, tagliando corto. Non mi piaceva il suo modo da "due pesi e due misure".

Un'emozione che non riconobbi solcò per un istante il suo volto, ma quando parlò con la sua solita inflessione disinteressata, iniziai a credere di averlo solo immaginato.

«Sono stato impegnato a evitare che il mio caro fratello si mettesse nei guai di nuovo» articolò con calma.

Realizzai in quel momento, cosa mi stesse dando tanto fastidio nel suo atteggiamento. Non erano le sue parole, ma il tono della sua voce. Freddo, calcolatore. Una tranquillità che mi inquietava. Come se avesse rafforzato quella facciata di pacatezza composta che sfoggiava i primi giorni del mio trasferimento a Danvers. Prima della scoperta dei medaglioni. Prima dei documenti rubati dal Sole. Prima che potessi scorgere quella piccola crepa in mezzo a tutti quei comportamenti distaccati.

«Già...Ho incontrato Christian stamattina» mormorai, lasciando perdere l'atteggiamento ostile.

Gli occhi di Alex saettarono su di me. «Era da solo?» Questa volta, aveva reagito troppo velocemente per continuare a simulare il suo solito disinteresse.

Feci cenno di sì con la testa, e vidi i suoi muscoli rilassarsi, segno del cumulo di nervosismo che doveva aver trattenuto. Le vene lungo le braccia erano più evidenti del solito e i capelli ricadevano in ciocche disordinate sulla fronte, come se vi avesse passato le mani più volte.

IGNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora