26 - Pessime similitudini

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Mi affrettai a soffocare una risatina, seppellendo il naso nel maglione. Nonostante le risposte gelide di Alice, Dean non si dava mai per vinto. Avevano qualcosa di bello, di chiassoso, che ti faceva venir voglia di osservarli e di spostare lo sguardo allo stesso tempo.

Lui però quella volta la fissò con gli occhi di un cucciolo abbandonato. Talmente dispiaciuto, che mi aspettavo quasi che da un momento all'altro facesse sporgere il labbro inferiore per accentuare quell'espressione affranta. Tuttavia, alla fine esalò solamente un profondo sospiro, prima di voltarsi in direzione della lavagna.

«Da quanto va avanti questa cosa?» le sussurrai, estraendo il quaderno dallo zaino.

Non ebbi bisogno di specificare altro, perché praticamente tutti avevano seguito il loro scambio. E infatti, Alice si limitò ad alzare gli occhi al cielo, prima di voltarsi verso di me per sfuggire alle attenzioni delle altre ragazze all'interno della stanza.

«Da quando avevamo dieci anni, credo.» Era talmente assorta da sembrare che ci stesse pensando davvero per la prima volta. «Se non fosse così ingenuo, Caleb gli avrebbe già tirato un pugno» aggiunse ridacchiando.

Non riuscii a unirmi alla sua risata. Non dopo che il racconto di Alex si era insinuato nel mio cervello. E istintivamente il mio sguardo si alzò alla ricerca dell'oggetto della nostra conversazione: Caleb.

Lo trovai lì, appoggiato con il bacino alla cattedra del professore e con gli occhi già fissi su di noi. Stranamente però, non ne ero del tutto sorpresa. Mi chiesi semplicemente da quanto tempo ci stesse osservando, mentre uno strano senso di colpa s'insinuò tra i miei pensieri, perché istintivamente mi ero ritratta leggermente.

Per me era diventato difficile inquadrarlo. Non riuscivo a far coincidere la versione protettiva che si preoccupava costantemente per Alice, con l'idea che fosse la stessa persona invischiata in un giro di scommesse illegali. E forse non avrei dovuto sentirmi così: incerta e cauta, perché nulla era cambiato tra di noi. Ma allo stesso tempo avevo l'impressione che in qualche modo il mio atteggiamento fosse stato influenzato da quella scoperta.

Caleb ricompensò l'occhiata che gli avevo rivolto con un gran sorriso e, prima che potessi distogliere lo sguardo, mi fece cenno di fermarmi dopo la lezione per parlare. Non sapevo esattamente cosa avrebbe voluto dirmi, ma non riuscii ad impedire al mio cervello di passare l'intera lezione a districarsi tra i più complessi film mentali.

"Sicuramente saprà che Alex mi ha raccontato di Christian."

"No impossibile, avrebbe dovuto piazzare delle cimici nel salotto di casa Parker."

"Magari ha scoperto anche lui, che Alex e Matt fanno parte delle famiglie fondatrici di Danvers."

"Beh, magari quello lo sapeva già."

And the Oscar goes to...

«Cassie.»

Quando quella voce impattò i miei timpani, mi ritrovai a fare un salto di dieci centimetri sulla sedia, trasalendo per la sorpresa.

Caleb mi stava guardando con un'aria divertita. Gli angoli della bocca tesi nell'evidente tentativo di trattenere una risata. «Tutto bene?» si sincerò, allungando il collo nella mia direzione. «Ho visto che eri persa nei tuoi pensieri.»

Già, i miei pensieri... Come potevo dirgli che le mie riflessioni fino a quel momento si erano concentrate proprio sulla nostra conversazione? Non potevo farlo e al contrario mi impegnai per ricambiare il suo sorriso. Non avevo intenzione di evitarlo e in nessun caso sentivo che fosse giusto ignorarlo, ma in qualche modo avevo la sensazione che il sottile equilibrio tra di noi fosse cambiato.

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