Capitolo 17 "Cosa vuoi realmente?"

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Aprii lentamente gli occhi e non riconobbi subito la stanza. Notai una pressione sulle mie gambe: Jason era seduto accanto al letto, con la testa appoggiata su di me e stava stringendo la mia mano.
Guardai di nuovo intorno a me: mi trovavo in una stanza di ospedale. Al mio braccio destro vi era attaccata una flebo. Accarezzai la sua testa, iniziando a toccargli i capelli un po' spettinati. Lui sospirò, levando il capo lentamente.

"Sei un idiota, mi hai fatto prendere un colpo." mi ammonì, togliendo la mia mano dalla sua testa con un movimento brusco.

"Aspetta, che ci faccio qui?"

"Se mangiassi di più e bevessi di meno non saresti in questa situazione."

"Mmh?"

"Da quand'è che non fai un pasto regolare, con del cibo vero, invece di sostituirlo con l'alcool?"

Presi un respiro profondo, iniziando a riflettere su quelle parole: in effetti da quando Eric mi aveva "abbandonato" a Natale avevo l'abitudine di digiunare, per poi riempirmi di alcool la sera. Abitudine che non lasciai nemmeno dopo il ritorno di mio fratello.

"Non ci ho fatto caso a questo, tutto qua, non fare il drammatico." borbottai.

"Stai scherzando, vero? Guarda che hai rischiato ed il tuo stomaco si sta restringendo. Al tuo fegato farebbe bene un po' d'acqua."

Sentii una nota di preoccupazione nella sua voce.

"Jason..."

"Se io-... se io non ti avessi accompagnato subito in ospedale-..."

Cosa voleva dire?

"Non ti permetto di fare una stupidaggine simile, devi rimanere..."

Era una confessione? Il mio cuore prese a battere irregolare.

"Jake Smith, tu non devi abbandonarmi."

Lo abbracciai e lui ricambiò, stringendosi a me. La mia testa era appoggiata alla sua spalla. Cosa significava tutto quello, gli piacevo? Lasciai quei pensieri e liberai la mente, concentrandomi su quel momento. Dopo un po' ci staccammo.

"Non farmi più prendere uno spavento simile ragazzino. Prima che ti accada qualcosa, devi finire ciò che hai iniziato..." ghignò malizioso.

Ecco, come non detto, era tornato il Jason McCurthy di sempre: uno stronzo.

"Aspetta e spera..."

I dottori mi tennero sotto osservazione per una settimana e quando arrivò il giorno della mia dimissione, mi sentivo come rinato.
Un'infermiera mi accompagnò alla porta che dava sul parcheggio.

"È il tuo ragazzo?" chiese, indicando Jason che si stava dirigendo verso di noi.

"Ecco io-..." farfugliai.

"Molto carino, come te d'altronde." disse, facendomi l'occhiolino. "Rimettiti, e ricorda di mangiare. Ciao!" mi salutò.

Le feci un cenno con la testa per poi voltarmi verso Jason, il quale aveva già il mio zaino in mano e mi stava guardando con un sorriso luminoso stampato in faccia.

"Andiamo."

Arrivati davanti a casa mia, lui spense il motore della macchina e rimase in silenzio, senza scendere: doveva dirmi qualcosa, ne ero sicuro.

"Sì Jason?"

"Io non ho detto niente."

"Però lo stavi per fare." gli feci notare.

"Ora capisci perché non devi lasciarmi? Tu mi capisci, mi sopporti, mi sai tener testa!"

"Che? Jason io non credo che questa cosa tra noi sarà mai possibile."

Seguì un silenzio imbarazzante, nel quale io sperai di poter sparire.

"Da quand'è che non scopi? Una ragazza intendo."

"Queste non sono cose che ti riguardano."

"Da quando hai mollato Sarah. Saranno quasi due mesi. Inizia a riflettere, pensa a cosa vuoi realmente nella vita e fallo per la tua felicità."

Aprii velocemente la portiera della macchina, per poi sbatterla con irritazione e mi precipitai in casa, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Quelle parole mi infastidivano, perché infondo sapevo che aveva più che ragione.

"Jake! Fratellino, come stai?"

"Bene, credo."

"Che ti prende?"

"Niente!" sorrisi forzatamente. "Sto benissimo. Ora vado in camera mia, sono stanco."

Mi buttai sul letto ed abbracciai il cuscino, iniziando a singhiozzare in silenzio. Cosa volevo dalla vita? Non lo sapevo nemmeno io e continuavo a ripetermi di essere etero. Eppure baciare Jason sembrava essere diventato il mio nuovo hobby, un passatempo fin troppo piacevole. Non credevo più che tutti quei fottuti baci erano parte di un piano per una vendetta, io lo volevo sul serio e diventava sempre più difficile fermarmi quando le nostre labbra si incontravano. La porta si aprì, mentre i miei singhiozzi diventavano sempre più rumorosi.

"Non pensi che le braccia di tuo fratello siano meglio di un cuscino?"

Senza parlare mi alzai e lo abbracciai, disperato, bisognoso di un po' di conforto in quella tempesta di emozioni. Quando mi calmai, ci sedemmo sul letto.

"Che hai, Jake?"

"Sinceramente non lo so nemmeno io."

"Piccolo, sai che puoi fidarti di me. Avanti, parla..."

Respirai profondamente e quella fu la prima volta che iniziai a pensarci seriamente.

"Penso di essere gay..."

Jake e Jason | Come un uraganoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora