19 - Il preside Evans

Start from the beginning
                                    

«Okay, questa è la versione che vorrei sentire» concesse. La sua voce era neutra e stranamente fredda. «Quella vera, invece?».

Impiegai qualche istante per capire che aveva deciso di ribattere alle mie parole. Sbattei piano le palpebre e mi voltai nella sua direzione, con un misto di incredulità e scetticismo. Da quando mio padre mi ascoltava davvero?

Mi schiarii discretamente la voce, per assumere un tono convincente. «Davvero papà, sono andata a bere qualcosa con Alice e con gli altri. Abbiamo solo fatto tardi» tagliai corto, sottolineando però con molta enfasi il nome nella mia amica. Con James era sempre meglio fare il nome di una ragazza. Forse non era una figura genitoriale classica, ma era pur sempre un padre.

Lui sembrò valutare con estremo interesse le mie parole. Annuì lentamente, come se stesse assorbendo il vero significato delle mie parole.

«Alice quindi è quel tipo alto e spallato che è venuto a prenderti ieri sera?» Sbarrai gli occhi e James se ne accorse. Quel dettaglio dovette spingerlo a proseguire, perché subito dopo riprese a parlare. «In realtà come si chiama? Caleb Evans? O Dean Scott? O forse Matthew Stevens?».

A ogni nome gracchiato, James sembrava scaldarsi sempre di più. Sotto il leggero accenno di barba le guance erano rosse, così come la base del collo, seminascosta da una delle sue camicie di flanella che amava così tanto.

Probabilmente, il modo migliore per sedare quella crisi – che per la nostra famiglia era paragonabile a quella dei missili di Cuba del sessantadue – era chiedere umilmente scusa, impilando una serie di moine che avrebbero riscaldato il cuore tenero di mio padre. Ma io ero... io: un agglomerato di scelte discutibili sommate a un pessimo orgoglio.

Articolai un piccolo sorriso, guardandolo speranzosa. «Ti prego, dimmi che hai anche un fascicolo sulla signorina Davis, mi serve una "A" in filosofia».

Lo sguardo esasperato che mi scoccò mio padre traboccava di nervosismo. «Cassandra» mi ammonì. E quando passava dai nomignoli irritanti al mio nome per intero sapevo di essere in guai seri. «Non è uno scherzo, non puoi andartene in giro da sola, senza neppure dirmi a che ora rientri o con chi sei». Poi il suo sguardò si spostò irrequieto verso l'orologio della cucina. Era in ritardo. Lo eravamo entrambi, a dire la verità. «Ne riparliamo stasera» disse prima di puntarmi addosso la tazza, come se rappresentasse una temibile arma. «E non pensare di saltare la scuola per dormire».

Non era affatto ciò a cui stavo pensando. No, l'idea di ordinare un caffè d'asporto e passare la mattinata cercando informazioni su internet, legate al Sole e al Consiglio della Fondazione non mi aveva neppure sfiorata.

Se non fossi stata ancora in pigiama, credo che mio padre mi avrebbe accompagnata personalmente a scuola. Non era accaduto spesso, perché ero sempre stata piuttosto autonoma, però lo sguardo intransigente che mi lanciò prima di uscire non fece altro che confermare l'impressione che a Danvers troppe abitudini stessero cambiando.

A causa dello scontro con James, ero arrivata alla Churchill Academy in spaventoso ritardo. L'autobus aveva impiegato un'eternità a raggiungere l'altro lato di Danvers e ciò mi aveva costretta ad attraversare il parco praticamente di corsa.

L'atrio era deserto, gli armadietti tutti ordinatamente chiusi. Dalla finestrella del laboratorio di chimica avanzata riuscivo a scorgere solamente una luce intermittente che si riversava sul corridoio, segno che le lezioni erano già iniziate. Affrettai il passo, perché l'aula del professor Webb si trovava esattamente all'estremità opposta di quell'ala della scuola.

Non avevo più avuto il tempo necessario per pensare a una scusa da utilizzare con Caleb e neppure per ripercorrere gli eventi della sera precedente. Ogni tanto, le immagini della festa in maschera si materializzavano nella mia testa, ma erano come frammenti di un sogno un po' troppo vivido. Non riuscivo a far collimare la mia vita di tutti i giorni con la consapevolezza che mi fossi imbucata a quel ricevimento elegante con Alex. Per non parlare poi di Justin, di come avevamo rischiato di farci scoprire o dei documenti che lui aveva sottratto dallo studio del sindaco. Tutto unicamente per un messaggio criptico inviatomi da mia madre.

IGNIWhere stories live. Discover now