Alex non ebbe modo di ribattere, perché il nostro scambio fu interrotto dall'arrivo della cameriera. Sbatté sul tavolo le nostre tazze con fare frettoloso. «Se avete ancora bisogno da me, sono a vostra completa disposizione» recitò con voce piatta.

Il suo tono era talmente annoiato che mi ritrovai a coprire la bocca con la mano per nascondere un risolino, mentre Alex aveva preso ad osservarla a metà tra il divertito e l'irritato.

Lei non ci degnò di un'ulteriore occhiata. Proprio come era arrivata, si dileguò in un istante.

«Probabilmente neppure io sarei troppo felice di lavorare fino a tardi» commentai, spingendo le mie dita irrigidite dal freddo contro la ceramica calda.

«Concentrazione, Reed» mi riprese con tono basso e ironico. «Inizia a raccontare qualcosa.»

Una parte di me era estremamente riluttante all'idea di assecondarlo. Mi ero imbucata a una festa con lui, avevo sopportato quel folle di suo cugino e mi aveva abbandonata per metà serata da sola. Ero io quella che meritava una spiegazione. Per quello, lo osservai fissa per qualche istante, indecisa sul da farsi.

Alex scosse piano la testa. Sembrava divertito, come se si fosse aspettato che cedessi, ma allo stesso tempo non fosse del tutto sorpreso della mia reazione.

«Ho molto più di te da raccontare» mediò, «quindi sarebbe davvero utile se per una volta mi ascoltassi».

Portai la tazza alle labbra, lasciandoci crogiolare nel silenzio intervallato da una musichetta blues ancora per qualche secondo. Il caffè era slavato ma caldo e accolsi quel cambio di temperatura nel mio corpo con un lieve brivido.

«Solo perché me lo chiedi sempre in maniera così gentile» replicai con una punta di ironia.

Alex si limitò a ridacchiare, facendomi cenno con la mano di proseguire.

«Ti dice niente 'Figli Fondatori' o 'Giocatori'?» chiesi andando dritta al sodo.

Dato che per me erano dei concetti senza senso, potevo solo sperare che per Alex avessero un significato diverso. Lui, però, scosse la testa e il modo in cui la sua fronte si corrugò automaticamente mi faceva credere che la sua risposta fosse sincera.

Iniziai a riassumere brevemente l'incontro con Jane, dalla sua convinzione che io fossi proprio una dei Giocatori e dal fatto che avesse utilizzato quel termine anche per definire il gruppetto di invitati che stavo ascoltando.

«In realtà, il concetto di 'fondazione' non mi è del tutto nuovo» riflettei, continuando a stringere le mani attorno alla tazza. «Quando siamo andati al Wenham Lake, Caleb mi ha parlato di un Consiglio della Fondazione, una sorta di società segreta attiva dal seicento circa, con il compito di proteggere Danvers».

Fino a quel momento, non mi era chiaro se quella storia fosse una novità solamente per me, dato che ero appena arrivata a Danvers, o se fossero leggende trasmesse unicamente all'interno della famiglia Evans. La reazione di Alex però rese ben evidente, che fosse la prima volta che sentiva quel racconto.

«Un consiglio segreto?» ripeté in tono poco convinto. «Fa molto 'caccia alle streghe' Reed, ma mi sembra davvero poco probabile: ci sarebbe qualche documento e poi Caleb Evans è famoso per raccontare storielle più o meno credibili».

«Sono d'accordo» lo interruppi, mostrando chiaramente che fossi dalla sua parte. «E a discolpa di Caleb, anche lui non crede a queste leggende» proseguii, cercando di mettere insieme tutti i pezzi. Era difficile sbilanciarmi con qualcuno che sembrava il primo a non esporsi troppo. «Nessuno crede a questo Consiglio, ma c'è una cosa che non ti ho detto...» mormorai iniziando a sentirmi stupida, ancora prima di concludere la frase. Alex, però, mi osservava assorto e quell'attenzione mi diede la forza di continuare. «Il triangolo era il simbolo di questo Consiglio, quindi... non so, ho la sensazione che ci sia altro».

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