10 - Sette shots in paradiso (I)

Začít od začátku
                                    

Mi trovavo su una sorta di passerella rialzata, con alti corrimani in acciaio che impedivano la caduta, ma permettevano di osservare l'ambiente attorno a noi. La serra in effetti era esattamente ciò che il suo nome suggeriva: una giungla vagamente ordinata di piante di diverse tonalità di verde, che rilucevano sotto allo spettro delle luci blu e rosse, che probabilmente servivano a riscaldarle o a farle crescere più velocemente.

Ogni quadratino di erba era sapientemente catalogato con una targhetta e un codice di rilevamento, ma dalla mia prospettiva non riuscivo a leggere praticamente nulla, visto che eravamo troppo in alto.

Mi accorsi dopo pochi passi che la passerella però non terminava affatto al piano inferiore di quella struttura. Le scale che conducevano all'accesso del piano interrato erano bloccate da un nastro bianco e rosso, mentre alcune frecce ci invitavano a scendere un po' più avanti, in uno spazio ibrido lasciato totalmente vuoto. Gli organizzatori della festa dovevano aver pensato che fosse più sicuro tenere quella mandria di studenti in un luogo dove non potessero rompere praticamente nulla e, vedendo il numero di persone stipate in quella sala, non potevo che essere d'accordo con loro.

Rimasi per un po' a ciondolare lungo quel balconcino che si affacciava sulla festa, osservandomi attorno. C'erano tutti: Matt impegnato in una discussione con la professoressa Davis, Philip che stava intrattenendo metà corpo delle cheerleader con qualche idiozia per la quale si gettava a terra ogni due secondi e persino Caleb, che era solito saltare metà degli eventi scolastici e probabilmente anche metà delle lezioni, dal momento che il preside era suo nonno.

Fu proprio lui a farmi cenno di raggiungerlo. Si scostò dall'insistenza di Jessica, la mia vicina di banco che aveva palesemente una cotta per lui, e mi raggiunse alla base di quelle scale infinite.

«Ce l'hai fatta» si rallegrò, regalandomi un sorriso esuberante. Caleb era sempre esageratamente felice quando assecondavo le sue idee. «Non ero sicura che saresti arrivata indenne, sai, con la guida di Alice.»

Soffocai una risatina, ma fui costretta ad ammettere la verità: «Ci ha portate Dean.»

Lo sbuffo che emise mi diede l'impressione che non fosse affatto sorpreso delle mie parole. Sollevò le spalle, roteando in maniera plateale gli occhi. «Tipico di mia cugina, sottomettere tutta la mia schiera di amici.»

Evitai di replicare, ma il mio sguardo parlava per me: sapevamo entrambi che, di fatto, era solo Dean ad assecondarla senza mezzi termini.

«Allora, stasera...» iniziai, facendo la vaga. Da quando Caleb aveva citato la possibilità di andare al Wenham Lake per una gita avevo messo da parte il mio solito disinteresse nei confronti dei posti dove James mi portava e avevo passato il pomeriggio a documentarmi su Danvers.

Prima del mio trasferimento non sapevo quasi nulla della città. Avevo visto solamente alcune foto in internet e mi ero lagnata per la maggior parte del tempo. Dopo i racconti di Caleb, però, mi ero decisa a documentarmi di più. Il mio interesse principale era legato ai luoghi panoramici che circondavano il lago e credevo anche di non trovare chissà quali informazioni: vivevo in una cittadina di poco meno di ventimila abitanti, dopotutto! Invece, mi ero accorta ben presto che Danvers possedesse più fascino di quanto non pensassi.

Era stata la sede del processo alle streghe di Salem, proprio come Caleb mi aveva già accennato, ma non immaginavo che ci fossero così tante storie legate a quel posto: si passava da leggende sui tesori dei coloni inglesi a racconti del terrore sui riti che venivano eseguiti all'interno della foresta. Alla fine, avevo quindi passato gran parte della giornata a leggere. Erano i maledetti geni Reed a non permettermi di dosare la mia curiosità. Proprio come James, sembravo incapace di pormi un limite.

«Cos'è? Vuoi già scappare?».

La domanda di Caleb mi fece tornare al presente. Le immagini di freddi boschi e paesaggi avvolti nella nebbia vorticarono velocemente fuori dalla mia mente, e tornai a mettere a fuoco la sala elegantemente decorata della Churchill Accademy.

L'ambiente si era riempito: i professori erano stati cacciati in fondo alla sala, dove controllavano attentamente che, tra le bibite appoggiate lungo il tavolo, non fosse apparso magicamente qualcosa di più alcolico di un collutorio, mentre sul piccolo palco vicino il comitato studentesco stava ancora costringendo i più temerari a partecipare al loro karaoke.

Caleb aveva frainteso, non volevo affatto scappare. Quello infatti era esattamente ciò di cui avevo bisogno: persone tra cui mimetizzarmi per evitare di pensare troppo, come mio solito. Mi ritrovai quindi a scuotere la testa. «Sono esattamente dove dovrei essere» confermai.

Lo vidi sollevare le labbra in segno di compiacimento. Stava tentando di aggiungere qualcosa, quando Alice si piantò accanto a noi. «Veramente non dovreste affatto trovarvi qui» replicò.

Io e Caleb ci guardammo con fare interrogativo, ma prima che potessimo chiedere spiegazioni, lei aveva già iniziato a camminare, facendoci segno di seguirla.

«Vediamo di movimentare la serata» dichiarò, facendo un vistoso occhiolino a Philip, che prontamente si accodò al nostro gruppo, passando una bottiglia vuota ad Alice e chiedendo a Caleb di reggerne altre due piene fino all'orlo.

Quello era il modo migliore per farsi sospendere. Il più rapido, per altro, perché se ci avessero beccati a introdurre alcolici in quella scuola, non sarebbe bastata l'intera università di Boston a salvare la mia testa. Non volevo neppure immaginare la faccia di mio padre, se qualcuno avesse interrotto il suo seminario sulle civiltà hawaiane per riferirgli che proprio la sua irreprensibile figlia era riuscita a cacciarsi nei guai. Ma prima che potessi obiettare, uno dei pannelli che bloccavano il corridoio si mosse, rivelando Dean che ci sorrideva con aria arrogante.

«La Davis è occupata a chiacchierare con Webb» disse facendo un cenno del capo. «Venite.»

Alice e Caleb si mossero ancora prima di Philip, scivolando nel passaggio buio che doveva condurre nei pressi della palestra, o verso gli uffici sportivi forse. Non ero ancora in grado di orientarmi bene in quel posto. Azzardai un'occhiata alle mie spalle, per essere sicura di non essere vista e, quando mi resi conto che il professor Webb in realtà non si trovava assolutamente con la Davis, mi affrettai a seguirli, sperando di non essere beccata proprio da quest'ultimo.

Il pannello alle mie spalle fu riposizionato velocemente, facendo calare il buio più assoluto attorno a noi. Sbattei insistentemente gli occhi, mentre Philip tentava di illuminare con la luce tremolante del telefono una striscia di gradini che portava verso il basso. Forse quello sarebbe stato il momento giusto per chiedere ad Alice cosa avesse in mente, tuttavia sembrava troppo impegnata a battibeccare con Dean a proposito del vestito di lei, per prestare attenzione a qualcosa di diverso.

Mi accordai al gruppetto, mentre il silenzio veniva tagliato solamente dalle risatine di Philip, che non sembrava in grado di scendere quelle poche scale senza barcollare. Qualcosa mi diceva infatti, che quella in suo possesso non fosse la prima bottiglia che si scolava. E mentalmente ringraziai che la piscina della Churchill Accademy si trovasse in un'altra struttura, ben distante dal corridoio che avevamo appena raggiunto.

Era buio e vuoto, così come lo erano tutte le stanze che si affacciavano su quel passaggio, e quel dettaglio mi diede l'assoluta conferma che nessuno di noi si sarebbe mai dovuto trovare in quel posto. Solo un fioco riflesso s'irradiava da sotto una porta alla nostra destra e feci appena in tempo a capire che dovevamo aver raggiunto la nostra destinazione, che l'ingresso si spalancò.

Impiegai poco a capire cosa stesse accadendo in quella stanza. Quella doveva essere la vera festa, perché adesso c'erano davvero tutti: dai giocatori di football, alla squadra di basket. Persino Jessica, la mia compagna di banco a chimica, aveva un voluminoso bicchiere tra le mani e... Beh, ovviamente, c'era anche Alexander Case. 

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