Con quella consapevolezza, seguii il flusso di studenti fino alle scale centrali che portavano ai piani inferiori. L'atrio era caotico e invaso dalle chiacchiere allegre degli studenti, la cui voce cercava di sovrastare il rumore dell'impianto di areazione, che lavorava al doppio della sua capacità in quei giorni uggiosi.

Mi mimetizzai dietro a due ragazzi della squadra di basket per sfuggire a Jessica e alle sue amiche e percorsi quelle scale in pietra fino all'ingresso della mensa, dove una piccola folla si era raggruppata a causa del tempo incerto.

Afferrai distrattamente un vassoio, mentre osservavo i tavoli accanto a me. Il mio sguardo finì subito sul gruppetto degli sportivi. La squadra di football sembrava essersi accordata con quella di basket e con le cheerleader per pranzare tutti insieme, perché di fatto occupavano quasi un terzo della mensa, da soli. Il resto degli studenti era diviso in gruppetti non meglio identificati.

Mentre la fila scorreva, allungai la mano un paio di volte per accettare le pietanze che venivano consegnate dal personale scolastico, ma il mio viso rimaneva perennemente girato in direzione dei tavoli.

«Dove ti sei cacciato, Alexander Case?» mormorai tra me, afferrando un bicchiere e incastrandolo sotto al distributore delle bevande.

Lo individuai all'ultimo. Proprio quando sentivo di aver perso ogni speranza, i miei occhi lo trovarono seduto mollemente a un tavolo, mentre si stropicciava la fronte e passava ripetutamente le dita tra i capelli, nel vano tentativo di ordinarli... O scompigliarli, dipendeva dai punti di vista. Un computer portatile era posizionato di fronte a lui e i resti di un hamburger mezzo mangiucchiato giacevano su un piatto abbandonato lì vicino. Per una volta, niente Philip Reese nei paraggi, niente ammiratori e nessuna ragazza pompon.

Rilasciai il nervosismo insieme a lungo sospiro, prima di incamminarmi verso quel lato della stanza debolmente illuminato dalle porte d'emergenza che davano sul giardino. L'odore pensante dei cibi che stavano servendo mi costrinse a respirare con la bocca, per evitare di accrescere quella sensazione di nausea che provavo. Ma mi rendevo conto, però, che probabilmente fosse solo una conseguenza della mia agitazione, più che delle scarse capacità della cuoca.

«Posso?» chiesi, fermandomi a un passo dal suo tavolo.

Quando Alex sollevò gli occhi dallo schermo non sembrò troppo sorpreso di trovarmi lì. Tuttavia, mi osservò per un lasso di tempo sufficientemente lungo da farmi capere che fosse vagamente perplesso della mia richiesta di sedermi con lui.

«Certo» confermò infine, indicando con il mento il posto di fronte a lui.

Mentre mi accomodavo sulla sedia, lo vidi richiudere lo schermo del computer, prima di tornare a concentrarsi su di me. Il modo in cui mi stava osservando indicava chiaramente che avesse capito che lo avessi cercato per un motivo in particolare. In fondo, io e Alex non eravamo amici e percepivo una sorta di curiosità per quella mia mossa.

«Devo farti vedere una cosa» dissi estraendo dalla borsa le fotografie che avevo stampato giorni prima. Non avrei girato intorno alla questione e sapevo che Alex avrebbe apprezzato quel comportamento. Per di più, quel gesto mi permise di sfuggire dal suo sguardo indagatore. «Prima però devi farmi una promessa...» ripresi tornando a concentrarmi su di lui.

A giudicare da come fremette l'angolo della sua bocca, Alex sembrava vagamente divertito dalle mie parole. «Che promessa?» chiese comunque, assecondandomi.

«Che se la mia teoria ti sembrerà folle, fingeremo che questa conversazione non sia mai avvenuta» borbottai, guardandomi attorno un po' a disagio. Non mi sembrava di vedere nessuna delle persone con cui abitudinariamente pranzavo. Sarebbe stato divertente, però, spiegare ad Alice perché li avevo abbandonati per conversare con Alexander Case.

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