Capitolo 7

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Tobias





Vagare per le strade di Baltimora forse non è la soluzione migliore, quindi decido di fare retromarcia e tornare in ospedale.

Mille pensieri irrompono nella mia mente e penso che forse, dopo tutto, mi sono meritato questa disgrazia.

A partire dall’adolescenza, la mia vita è stata un escalation di scelte sbagliate. Alcol, droghe, per non parlare delle ragazze. Le ho cambiate una dietro l'altra come fossero mutande, giusto il tempo di una notte e bye bye.

Il mio interesse è sempre ruotato attorno a tutto ciò che è illegale e illecito. D'altronde, tutta questa merda è sempre stata all’interno della mia quotidianità.

Mio padre era un uomo molto temuto, aveva per le mani un grosso giro di droga qui a Baltimora. Fino a quando non è successo l'inevitabile: si è beccato una pallottola in fronte. La concorrenza in questo settore è spietata.

Quando è successo avevo sedici anni. Mia madre ha cercato di prendere in mano la situazione, ma essendo solo capace a spendere e vivere nella bambagia, non è stata in grado di gestire la cosa. Ha rischiato di distruggere tutto ciò che mio padre aveva creato con tanta fatica.

Quindi è toccato a me, il suo primogenito e unico figlio maschio. Ho dovuto mollare gli studi e condurre "l'attività" di famiglia.

L'unico modo per sfogare queste pressioni, che mi stanno facendo marcire dentro, sono le lotte clandestine. Nessuna pietà, nessun rimorso. Ad ogni colpo inflitto la mia rabbia sembra svanire. Quando vedo il mio avversario a terra, mi sento libero dal maledetto peso che mi porto dentro. Quella rabbia devastante che mi divora internamente rendendomi cinico e autodistruttivo, ma solo per breve tempo. 

Dopo questa valanga di pensieri, mi accorgo di essere all'entrata dell’ospedale. Percorro velocemente la strada che porta alla mia camera, nel reparto di terapia intensiva.

Varcando la soglia, vedo mia madre seduta sul letto, di fianco al mio corpo inerme. Le sue piccole mani accarezzano il mio viso dolcemente, quasi potrei dire di sentire il suo tocco.

Ha l'aria trasandata, come se non si riposasse da tempo. I suoi capelli color del grano ricadono spettinati lungo le spalle, ha gli occhi arrossati. Profonde occhiaie le solcano il viso, sembra invecchiata di dieci anni dall’ultima volta che l’ho vista. 

È una cosa particolarmente strana vederla così, essendo lei una donna fissata con l'estetica, non l'ho mai vista con un capello fuori posto. Neanche la mattina, quando la trovavo in cucina intenta a preparare la colazione con indosso il suo grembiule preferito.

Noto che non sono più attaccato al respiratore, il mio petto si alza ed abbassa lentamente. Sembro addormentato, in un sonno molto profondo.

Tutto questo è così assurdo, vorrei che fosse solo un incubo dal quale potrei svegliarmi da un momento all'altro. 

Un dottore improvvisamente entra nella stanza. È un uomo piuttosto alto, con capelli neri leggermente brizzolati, dall'importanza che si dà, si capisce subito che è un pezzo grosso. 

«Buon pomeriggio signora. Sono il dottor Hamilton, mi sto occupando di suo figlio Tobias. Come di certo saprà, ha avuto un brutto incidente. Ha riportato un importante trauma cranico con conseguente emorragia cerebrale. Per ora è in coma, ma rispetto a quando è arrivato, le sue condizioni si sono stabilizzate. Adesso respira autonomamente, ma bisogna aspettare gli sviluppi, l'emorragia potrebbe anche riassorbirsi da sola.»

Mia madre nel frattempo si è alzata in piedi di colpo, tremante e con gli occhi pieni di speranza chiede: «Quindi si sveglierà, vero? Quanto tempo ci vorrà per rimettersi?»

Lo sguardo del dottore sembra intenerirsi alle domande di mia madre. «Signora, non è così semplice, voglio essere sincero. Ad ora non possiamo stabilire se si sveglierà o meno. Dobbiamo aspettare, ma soprattutto, se si sveglierà, dobbiamo constatare in che condizioni. Al momento non possiamo sapere se ha riportato danni cerebrali.»

Il viso di mia madre si trasforma in una maschera di dolore, apre la bocca come se volesse parlare, ma subito dopo la richiude. Sembra sotto shock: piccole lacrime scendono sulle sue guance. Il dottore, comprendendo la situazione, si congeda lasciando la stanza.

Mi sento impotente, non sopporto la vista di mia madre in queste condizioni, tutto questo dolore mi distrugge. 

Mi lascio cadere tremante sul gelido pavimento, appoggiando la schiena al muro chiudo gli occhi.

Non ci credo, non è possibile, questo deve essere un incubo. Come può, questo dolore, essere così straziante? Questa è sicuramente una condanna. 

Una condanna che, forse, è scritta nel mio destino.


Angolo autrici

Ed eccoci qua finalmente abbiamo scoperto il nome del ragazzo misterioso, cosa ne pensate? Non esitate a commentare.
Per noi conta la vostra opinione, a presto 😘😘❤️

I see you (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now