Capitolo 1

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Natalie





«Natalie, ti do dieci minuti per finire di prepararti. Sbrigati, non lo ripeterò un'altra volta!»
La voce irritata di mio padre risuona dalle scale e, nonostante la porta chiusa, la sento forte e chiara, come se lui fosse dietro di me.

Del resto, non ricordo un solo giorno in cui mio padre sia stato gentile. Non riesco neppure a chiamarlo come un parente, preferisco il freddo nome proprio: Richard. Come se si trattasse di un conoscente.

Prendo dal comodino l'unica cosa che ho aspettato a mettere in valigia, oltre al mio amato album da disegno, la foto con mamma. Ogni volta che la guardo mi viene da pensare a quanto fosse bella e solare, l'opposto di me. L'unica cosa che abbiamo in comune sono gli occhi, di quel verde che ricorda le foreste selvagge. L'unico tratto che ho preso da lei, solo che i miei risultano scuri, spenti, mentre ogni volta che guardavo i suoi mi trasmettevano serenità: erano così limpidi, pieni di vita. Pensare a lei fa male, era così diversa da quel dittatore al piano di sotto.

Sembra ieri il momento in cui ho scoperto di avere la mia strana capacità. Avevo sei anni, era settembre, lo ricordo bene perché qui in Vermont è il periodo del foliage: le foglie degli alberi si colorano di bellissime tonalità dal rosso al giallo. Io e mamma stavamo passeggiando nel nostro quartiere: era un meraviglioso pomeriggio soleggiato e stavamo chiacchierando allegramente. Ad un tratto, passando davanti casa della signora Finnegan, la vidi avanzare verso di noi. Ma come era possibile se solo qualche giorno prima mi avevano riferito che era venuta a mancare?
Disse: «Natalie cara, potreste prendervi cura di Mister Puff in mia assenza? Non sopporterebbe mai la solitudine, è un gatto così affettuoso.»

Io lo riferii a mia madre, che alzò un sopracciglio e con un sorriso radioso rispose: «Sai tesoro, stavo proprio pensando di prendere un animaletto per farci compagnia.»
Mi voltai verso la signora; ero così emozionata all'idea di avere un micio, ma era sparita.
In compenso vidi Mister Puff venirci incontro con la sua andatura sinuosa. Emise un dolce miagolio e con nostra grande sorpresa ci precedette verso la strada di casa.

Col passare del tempo si susseguirono molti episodi di questo genere. Avevo anche un amichetto, Charlie, con cui giocavo molto spesso in giardino; il problema era che lo vedevo solo io, ma non ne ero conscia.
I miei discutevano molto a causa del mio dono e, se per mia madre non era un problema, mio padre pensava invece che fosse sbagliato e che dovevo essere curata.

Cosa ci si poteva aspettare da un neurochirurgo? Lui il cervello umano lo conosceva bene e ciò che mi capitava non era normale.
Mia madre mi ha sempre sostenuta, diceva che non poteva esserci nulla di male nell'essere speciali.
Purtroppo, da quando è venuta a mancare quattro anni fa, le mia capacità sono state sotterrate con lei nella tomba. Mi sono convinta che era talmente tanta la voglia di vederla che si è spezzato qualcosa dentro di me.

La mattina seguente, al funerale, dopo una nottata tremenda passata in lacrime, a pregare che fosse solo un incubo, Richard si presentò nella mia stanza vestito di tutto punto senza neanche un capello fuori posto.
Come se la tragedia appena successa non lo avesse toccato minimamente. Con i suoi modi autoritari, che all'epoca mi incutevano parecchio timore, disse: «Buongiorno Natalie, volevo informarti che le cose da oggi cambieranno: domani hai appuntamento con la dottoressa Stevenson, nota neuropsichiatra nonché mia cara amica. Ti raccomando di non farmi fare brutta figura, è ora di smetterla con i tuoi amici fantasmi.» .

"Buongiorno un corno!" pensai. Avrei voluto urlare, spaccare qualsiasi cosa intorno a me, ma l'unica parola che uscì dalle mie labbra fu un flebile "ok". Avrei detto qualunque cosa pur di farlo uscire dalla mia stanza in quell'esatto momento.
D'altronde, come poteva lui avere tatto o essere sensibile se neanche mi conosceva? Per lui esisteva solo il lavoro, capitava spesso di non vederlo per settimane.
Da quel momento ebbe inizio un anno di stupida e inutile terapia, dato che non capitava più davvero nessun fenomeno strano. Anche se fosse accaduto, non lo avrei di certo raccontato a quella arpia senza cuore. Alla fine mi liquidò con degli antipsicotici che non presi mai e una diagnosi piena di paroloni che solo Dio sa cosa significano. Sinceramente, non mi è mai importato del giudizio degli altri a meno che non contino qualcosa nella mia vita.

Riuscii a prendere il diploma con una discreta media, avrei potuto benissimo entrare in un buon college, ma pur di fare uno sgarbo a mio padre, e soprattutto per fare un po' di chiarezza nella mia vita, ho deciso di prendermi un anno di pausa.

Ora cerco di sistemare quell'ammasso informe castano scuro, che dovrebbe corrispondere ai miei capelli in uno chignon, ma neanche loro vogliono darmi una soddisfazione oggi. Metto una felpa oversize e jeans strappati chiari, proprio quelli che odia Richard, e sono pronta per partire verso Baltimora. Il grande dottore dei miei stivali ha ricevuto un'ottima offerta di lavoro lì e, purtroppo, sono costretta ad andare a vivere dove dice lui.

Anche se non mi entusiasma neanche un po' mollare Woodstock, tutti i ricordi, la nostra casa, per andare verso l'ignoto... E non aiutano per niente le otto ore di viaggio che devo fare con quel despota. Sia lodato Netflix! Sono sicura che sarà la mia unica àncora di salvezza per non fuggire alla prima sosta.

I see you (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now