Capitolo 3

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Intanto a sud...

I lineamenti taglienti dell'Arabo, scrutavano l'orizzonte. Era in piedi sul vallo, in un punto in cui era possibile salire agilmente. Le fredde temperature alle quali non era abituato, lo facevano rabbrividire. Era mattina presto e il suo falco stava cacciando nelle vicinanze. Il suo shemag rosso e bianco, gli parava il viso sulla fronte e gli copriva naso e bocca. Solo gli occhi scurissimi, leggermente allungati e definiti con il kajal, si vedevano. Bastavano.

Per capire che fosse una persona di nobili origini e molto autoritario, bastava guardarlo negli occhi. La carnagione olivastra sbucava dalle maniche della sua tunica chiara. I suoi calzari, con alcuni fili d'oro a circondargli le caviglie, non nascondevano tutto il piede, ma lasciavano fuori il tallone. Aveva due lunghe spade ricurve ancorate alla schiena, le mani libere, e intorno ad un avambraccio, un polso di cuoio da falconiere. Era assorto, pensieroso.

La luce dell'alba lo rincuorava. Sperava che sarebbe potuto tornare presto nella sua terra. Non era schiavo. Non più. Non era servo o nemico. Non più. Era lì per una causa alla quale non avrebbe mai voluto prendere parte. Non era la sua gente, non era la sua vita. Ma un amico aveva bisogno di lui.

Un grido di falco arrivò alle sue orecchie e pochi istanti dopo, sollevò il braccio sul quale una creatura magnifica si posò con grazia. Il piumaggio bianco e nocciola, caratterizzava lo splendido animale. Le sue ali erano grandi, la leggerezza era palpabile.

"Bravissima Jala." Sussurrò, accarezzando appena la testa del volatile.

"Sarà meglio andare!"

Dalle sue spalle, una voce a lui più che familiare si fece sentire. Il Moro si voltò e facendo un segno di assenso liberò nuovamente il falco che aveva appena finito di beccare il suo premio,  scese con innata leggiadria dal muro con un balzo, dirigendosi verso il suo cavallo pezzato, sellato e pronto a partire.

"Oltre il muro quindi?"
Chiese al suo compagno di viaggio, mentre saliva in groppa al cavallo.

"Sì, dobbiamo per forza spingerci fin là. Se troviamo altre tribù...dobbiamo farlo."
Il ragazzo esitò, poi finì la frase.

Il mantello rosso che lo copriva del gelo della mattina, non lasciava molta libertà nei movimenti ma il suo cavallo lo conosceva bene. Gli bastò un piccolo gesto con il piede che questo partì al galoppo giù per la collina. I ricci scuri del giovane, si muovevano ad ogni suo movimento. La tunica che indossava, lasciava scoperte le sue gambe lunghe e sode, definite da anni di addestramento per la battaglia. I calzari erano alti fino sotto il polpaccio, di cuoio e pelle scura, come il manto del suo fedele Bruno. Non indossava la corazza dorata che di solito metteva in combattimento, ma l'aveva portata con se, dentro le bisacce che aveva come equipaggiamento. Il gladio però, era sempre al suo fianco. Suo padre glielo aveva lasciato. Era per lui di un valore inestimabile.

Harry era un generale Romano da ormai cinque anni. Suo padre prima di lui aveva servito Roma e L'impero. Proprio suo padre, che era un uomo nobile, dall'animo gentile. Forse fin troppo. Dopo tanti anni nella capitale Italica, non era stato corrotto da denaro e politica. Aveva sempre sostenuto fortemente il rispetto e la non sottomissione dei popoli conquistati. Voleva degli alleati, dei fedeli alleati come compagni. Le sue campagne per la conquista dell'Europa erano sempre bellicose certo, ma non faceva schiavi. Trattava la gente in modo diverso. Gli dava la possibilità di negoziare.

Nelle province che aveva conquistato, c'era benessere e la sua famiglia era ben vista. Anche se rimaneva un invasore. Harry era sempre stato al suo fianco. Convinto anche lui che la guerra non fosse sempre necessaria. Era stato addestrato al combattimento. Sempre preparato al peggio. Era diventato generale per seguire le orme del padre, ma qualcosa aveva fermato la sua ascesa.

Sky Full Of SongWhere stories live. Discover now