«Il mio compleanno, il mio ritorno a Danvers...» elencò, alzando di poco le spalle, come a dire che una delle alternative valeva l'altra. «Sono curioso, però» aggiunse dopo un istante, piegando un po' il capo come per valutarmi. E quel maledetto sorrisino era tornato a farsi strada sul suo volto. «Come sei finita nella mia piscina?».

Restai zitta per un istante, indecisa su come replicare. «Philip» mormorai controvoglia. Non c'era bisogno di aggiungere altro, perché sapevo già che i due si conoscessero. L'avevo visto proprio con i miei occhi quella stessa mattina.

Alex articolò una smorfia con le labbra, come se stesse soppesando la mia risposta, ma non aggiunse nulla, e a me onestamente non interessava: non era a causa della piscina dei Case che lo avevo cercato.

«Quello che non capisco io, invece» replicai, facendo un ulteriore passo in avanti, «è perché credi di avermi già vista.» Sapevo di non essermi immaginata quel cambio d'atteggiamento la sera prima, e volevo sapere perché si fosse preso il disturbo di cercarmi una seconda volta quel giorno. Era una domanda banale, che necessitava di una risposta altrettanto banale. Ma io la volevo.

Mi osservò fisso per un po', con una sorta di attesa incastrata in quegli occhi chiari. In un attimo mi ritrovai a pensare che, nonostante i miei pensieri precedenti, quello sguardo aveva cancellato ogni concetto di banalità dal mio vocabolario. Era uno di quegli sguardi difficili, che sembrano leggerti dentro. Probabilmente quella era la ragione per la quale non ero riuscita a togliermi dalla testa la sua reazione della sera prima. Perché era esattamente quella tipologia di sguardi dai quali ti vuoi sottrarre, ma che allo stesso tempo non vuoi smettere di guardare.

Alex si diede un paio di pugnetti pensierosi tra il collo e il pettorale e, ancora una volta, ebbi l'impressione che non avesse minimamente intenzione di rispondere alla mia domanda. Seccamente, finii per ipotizzare che forse avremmo dovuto stilare una lista. Una sorta di guida che potessi consultare, prima di parlare con lui.

Alla fine però mi sorprese. Con il mento, indicò la catenina che sbucava dal mio maglioncino. «Per quella» disse sollevando un sopracciglio. «Dove l'hai trovata?».

Allora la mia non era stata solo un'impressione, mi ritrovai a pensare, spalancando appena la bocca. Credevo di aver mal interpretato il suo comportamento della sera precedente. In fondo, perché il mio medaglione avrebbe dovuto infastidirlo? Eppure, anche adesso che il suo sguardo era caduto su quella collana, c'era uno strano mix di confusione e risentimento che si specchiava nella linea dura delle sue labbra.

«È di mia madre» risposi quasi automaticamente, mentre le mie dita si avvicinavano al medaglione. Ero ormai abituata a passare i polpastrelli sopra a quella strana scritta: Igni. «Cioè, era» mi corressi all'istante. «Me l'ha spedita qualche settimana fa, quando sono arrivata a Danvers.» Il primo e unico contatto, dopo anni di assenza. «Perché ti interessa?».

Non sapevo neppure perché l'avessi fatto. Perché gli avessi posto una domanda alla quale credevo che non avrebbe risposto. Dopotutto, non aveva fatto altro che ignorarle tutte una dopo l'altra, sia la sera precedente a casa sua, che alla lezione di Webb. Tuttavia, dopo avermi squadrata ancora un attimo, lo vidi infilare la mano nella tasca dei jeans. Pensavo che stesse prendendo un'altra sigaretta, o forse il cellulare, ma quando estrasse a sua volta un medaglione, sentii le mie palpebre strapparsi per la forza con cui spalancai gli occhi.

Era ovale, elegante e delicato. E, soprattutto, era uguale al mio.

Allungai le mani senza neppure rendermene conto, e le mie dita sfiorarono il metallo freddo. Dovette considerare che non avrei tentato la fuga con uno dei suoi cimeli di famiglia, perché quando i miei polpastrelli si strinsero alla collana, lui lasciò la presa, e il ciondolo mi appesantì la mano.

IGNIWhere stories live. Discover now