Venuto al mondo (extra)

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Bath, 13 luglio 2016.

Per la prima volta, con l'annuncio dell'estate, Harry rimase a Bath. Per la prima volta in tutti quei travagliati anni, non dovevo soffrire la sua assenza. Si sistemò nel mio appartamento, che tanto era piccolo da non avere un secondo letto: dovemmo provvedere all'acquisto di un materassino gonfiabile, che a sua detta non poteva essere altro che comodo, ma che in realtà niente aveva a che fare con un letto reale. Ne avevo la prova quando, in piena notte, mi alzavo per soddisfare le mie voglie da donna incinta e lo trovavo sul pavimento, aggrovigliato tra le lenzuola e con un'espressione tutt'altro che serena. Per fortuna i mesi di gravidanza erano giunti al termine: da lì a pochi giorni avrei finalmente dato alla luce mio figlio. Mio figlio, che strana espressione. Mio e di nessun'altro, perché l'altra persona che avrebbe dovuto amarlo più di sé stesso era scomparsa prima di conoscerne l'esistenza.

Per quanto mi costasse fatica e sofferenza, avevo allontanato ogni pensiero sentimentale nei confronti di Harry: dovevo concentrarmi sulla gravidanza, sulla vita che avrei dovuto dare a quel bambino, non di certo ai continui ed inutili litigi con la popstar. Dovevo essere lucida, presente: non mi sarei concessa alcuno sgarro. Poco importavano la sua presenza, il suo portamento, il suo sorriso, il suo profumo. Avrei stretto i denti sino all'ultima goccia di saliva.

«Accidenti», imprecai sonoramente, interrompendo il flusso di pensieri «Gemma, ti prego, vieni qui».

«Che succede?», squillò, raggiungendomi all'uscita della stanza e sostenendomi per un braccio.

«Succede che sono una balena e non riesco più a vedermi i piedi», tuonai, sbuffando.

Sorrise, scortandomi fino al divano. In quella bollente giornata di Luglio, Harry era dovuto correre in studio per terminare gli ultimi ritocchi al nuovo album e Gemma aveva così preso calorosamente il suo posto, sorreggendomi come una fedele amica.

«Mi sento una nonnetta», continuai «una nonnetta che non può più indossare nemmeno un dannato jeans».

«Laura, sei incinta», ironizzò «pensavi davvero saresti rimasta nel tuo invidiabile peso forma?».

«Certo che no», replicai seccamente «ma vedersi con i propri occhi mentre il tuo corpo prende sempre più le sembianze di Shrek, non è per niente piacevole».

«Non hai la pelle verde, Laura e non sei un orco», continuò, aiutandomi a sedermi.

«Non ancora», farfugliai «ma sono certa che un mattino mi sveglierò con le antenne e il naso a patata».

Rise sonoramente, accomodandosi al mio fianco.

«Credo proprio che al posto delle antenne ti troverai con le acque rotte e un dolore lancinante», puntualizzò.

«Grazie», squillai «amica di questo piffero».

Poggiò la testa sulla mia spalla, sorridendo.

«Sarai la mamma migliore del mondo ed Harry sarà un fantastico zio», continuò. 

«Mmh, certo», mormorai «gli basterà partire per il nuovo tour per dimenticarsi di me e di lui», conclusi, indicando la pancia.

«Non dire assurdità», strillò, dandomi un colpetto sulla testa «Harry è adorabile, non fa altro che riempirti d'attenzioni, non potrebbe mai dimenticarsi di te e del bambino».

«Giochi facile», bisbigliai «magra, abbronzata, felice, con al fianco un ragazzo che mezzo mondo vorrebbe sbattere contro qualsiasi muro».

«Laura!», gridò, abbozzando del rosso vivo sulle guance, come spruzzi di colore s'una tela.

«E' la verità», replicai, sistemandomi sulla pancia una ciotola di noccioline «James è veramente, ma veramente caliente».

Dieci inverni [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora