CAPITOLO III: L'INIZIO DI TUTTO

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Dovrei iniziare parlandovi davvero di me, di quanti anni ho ad esempio, di cosa mi piace fare, di come mi chiamo, di che musica ascolto e molte altre cose che potrebbero almeno un po' farvi supporre che io sia una persona come tutte le altre. Ma, ancora una volta, non è ciò che vi aspettate quello che in realtà farò. Voglio iniziare la mia presentazione parlandovi, o meglio, rievocando una vecchia storia accadutami molto tempo fa, sempre che abbiate il sangue freddo per reggerla. Iniziamo. Quella che sto per raccontarvi non è la semplice avventura nel bosco che molti di voi si aspettano: " non c'è luogo più macabro di un'immensa distesa verde che prolifera indisturbata agli antipodi della città" penserete. Ebbene no, dovrò ancora una volta contraddirvi e mettervi al corrente del fatto che le più pericolose insidie possono nascondersi anche sotto il vostro stesso tetto, o meglio, sotto i vostri piedi. Era una calda e afosa giornata di luglio ed io stavo serenamente (ancora per poco) camminando lungo il corridoio che portava alla mia camera. Il mio passo svelto e deciso venne bruscamente interrotto, data superficie traballante sulla quale si trovavano i miei minuti piedini. Avevo solo 5 anni perciò l'unica cosa che la mia assurda mente fu in grado di elaborare fu che mi ero accidentalmente ritrovata a muovermi su delle sabbie mobili. Fortunatamente riuscii a liberarmi immediatamente dal mostro insabbiato che ero convinta mi volesse tirar giù con lui, e riuscii a raggiungere la mia stanza. Non ne feci parola con nessuno in famiglia, non avrei mai voluto che pensassero fossi una pazza sclerotica e in cerca di attenzioni, ero abbastanza intelligente e responsabile da riuscire a tenere per me questo piccolo 'segreto'. Ritornando, nei giorni a venire, a calpestare il pavimento il quale avevo simpaticamente pensato mi stesse risucchiando qualche giorno prima, mi soffermai sempre più attentamente tanto da accorgermi che "le sabbie mobili" non erano altro che una vecchia botola traballante che portava, con tutta probabilità, ad uno scantinato o un ripostiglio. Passarono anni prima che potessi decidere di scendere nello "sweet-place", era così che avevo squisitamente deciso di chiamare qualunque cosa si fosse trovato lì sotto, certamente prima di appurare che di dolce squisito non c'era nulla se non la voce di mia madre che mi invitava ad accomodarmi a tavola per fare colazione. Così, anche quella volta, non riuscì ad entrare. Passai i giorni successivi ad architettare un piano perfetto che mi avrebbe portata nello sweet-space e, arrivato il tanto agognato giorno, mi ci condussi. Non c'era nessuno in casa perciò riuscii tranquillamente a scendere nello scantinato, lasciando ogni paura al di là della porticina d'ingresso. Scesi rapidamente le scale e capii, finalmente o sfortunatamente, il motivo per il quale nessuno mi aveva mai parlato di quel posto.

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