CAPITOLO 9

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** Natalie **

Sono sorpresa di quanto possa essere facile trovare lavoro, soprattutto quando hai un bel visino a disposizione da usare. Non che io pensi di averlo, ma Lui mi diceva sempre che era colpa mia e del mio bel visino se faceva quelle cose.
Nel male questo volge a mio favore e ad una settimana dal mio licenziamento ho trovato lavoro presso un minimarket aperto 24su24. La cosa migliore di questo posto è che faccio sempre il turno di notte, quindi ci siamo quasi sempre solo io e la guardia fuori dal negozio, minimo contatto umano. Per me il paradiso, tanto non dormo quasi mai e quando lo faccio non inizio neanche a spiegare cosa passi nella mia testa, molto meglio tenere gli occhi aperti. Garantisco che dopo un po' ci si abitua alla mancanza di sonno.

Un'altra cosa che mi piace è quando finisco di lavorare, alle 8 ed esco, vedo tutti correre come piccole schegge impazzite, chi verso scuola chi verso la propria occupazione. Adoro la pace che provo in mezzo a tutto quel caos, il vedere come la mia vita gira al contrario di tutti gli altri. Metafora perfetta di come è andata fino ad adesso, ogni singolo giorno, mentre tutti viaggiavano sulla stessa linea retta, verso un percorso di vita prestabilito, mete specifiche e traguardi di vita e di carriera, la mia retta a un certo punto ha incontrato una deviazione ed è andata nella direzione opposta e da lì non si è mai fermata.

Sì, sono pazza e quando faccio questi pensieri mi rendo conto da sola che qualcosa in me decisamente non va. Ma alla fine quando ti viene tolto tutto impari a godere anche delle piccolezze, anche una singola goccia che scende lentamente, ma inesorabilmente su un finestrino può trasmetterti sensazioni uniche.

Arrivata di fronte a casa tiro un bel sospiro di sollievo. È da quando ho parlato con Mark che ogni volta che esco o entro in casa ho il terrore di trovarlo, o trovare Sieg o peggio entrambi, ad aspettarmi. Questo è l'unico aspetto della mia routine che mi indispone, per il resto ne ho stabilita una abbastanza precisa e la rispetto in maniera quasi maniacale.
Arrivo a casa esattamente alle 8.45 dopo aver finito il mio turno al lavoro, doccia, poi faccio finta di dormire per circa un'ora, mestieri, saltuariamente e in base all'umore pranzo più o meno sostanzioso, studio o leggo in attesa di avere informazioni su come recuperare gli anni persi di scuola, infine lavoro. E si ricomincia. Un cerchio perfetto, come la vita.

Avevo detto che la vita era una retta? Si anche, in base all'angolazione. Ogni singolo aspetto della nostra esistenza, ognuno di noi, ha un proprio ruolo, un proprio posto, è stato messo lì per un motivo o uno scopo e nessuno di noi può scappare da questa realtà. A volte ci viene fatto un dono, a volte è una punizione e noi non possiamo fare altro che accettare ciò che ci viene dato e cooperare al meglio delle nostre possibilità, in attesa della soluzione ultima.

La morte, l'oblio.

Sospiro, pessimo inizio di giornata, non ho chiuso occhio e ho la mente in subbuglio. Sembra ci sia passato dentro un urugano. Un misto di paura, angoscia, odio, risentimento, pensieri, ricordi, incubi, odori, sguardi mi martellano in testa. Si uniscono in un coro di voci e mi continuano a chiedere quale sia il mio posto, quale ruolo io abbia nel mondo.

Non ne ho idea.
Io semplicemente non lo so.

Quello che è certo, è che la mia vita non è un dono, ma una punizione, cosa abbia fatto non so, ma chiedo perdono, supplico il perdono da chiunque me lo possa dare, così che io possa avere un po' di pace. Non importa se non mi possa essere garantita una vita classica, semplice come quella di chiunque. Nasci, cresci con la famiglia che ti ama, carriera, amore, matrimonio, figli, una vecchiaia felice, morte. Mi accontento della fine, della morte, di addormentarmi e non svegliarmi.

Senza accorgermi, il mio corpo si è mosso in automatico verso il bagno.

Tutto tace.

Le braccia segnate ancora, ancora, ancora e ancora. La lametta dipinta di rosso scarlatto e il silenzio.
Tiro un sospiro di sollievo e mi sdraio sul pavimento del bagno, finalmente la mia mente si ricompatta e ogni cosa torna al suo posto. Ordine.
Anche il mio cuore si calma e quei pensieri e sentimenti oppressivi svaniscono lasciando posto a un nulla confortante. Decisamente, non sentire niente è meglio che sentire qualcosa.

Resto lì immobile, con la lametta stretta in palmo, beandomi della sensazione della sua lama che ferisce la mia mano e si insinua lentamente nella mia carne. Finché un rumore lontano non mi disturba durante la mia seduta, la mia terapia.

Accidenti! Se non mi muovo farò tardi al lavoro!

Sto decisamente meglio, ma ammetto che in fondo in fondo sono un pochino preoccupata, ultimamente il tempo che trascorro con la mia amica sta aumentando in modo esponenziale e non va bene. Se non riesco a mettere dei paletti avrò un'altra crisi di dipendenza e non riuscirò a stare fuori casa molte ore.

Sistemo il tutto il più in fretta possibile, mi lavo, mi preparo ed esco per andare al lavoro accompagnata da una sensazione di leggerezza alla testa un po' troppo persistente.

Passerà anche questo, domani andrà meglio.

* * *

Avevo detto che era una pessima giornata, no?
Avevo anche detto che la vita è un cerchio.

Confermo tutto.

Manca un'ora alla fine del mio turno e mi ritrovo schiacciata tra il muro del magazzino e il corpo della guardia. Stava andando bene la serata, monotona e ripetitiva come al solito, poi quando sono entrata qui per prendere le scorte e rifornire gli scaffali, lui era dietro di me, la porta chiusa a chiave. Sapevo già cosa sarebbe successo.

Il mio corpo si è spento in automatico, per anni sono stata educata a rimanere immobile e a sottostare al volere degli uomini, non ho più la forza né la voglia di lottare. Così mi ritrovo qui, la mia mente staccata dal corpo, mi sembra di osservare la scena dall'altro, come se fossi uno spettatore. Eppure lo sento entrare ed uscire da me, sento il suo respiro putrido, alcolico sul mio collo, sulla mia pelle. Le sue mani che mi strappano i vestiti ed esplorano il mio corpo a loro piacimento.
Il dolore del rapporto, ogni singola volta che il suo membro scava dentro le mie pareti ogni mia singola terminazione, fibra e cellula reagisce, provocandomi scariche di insopportabile sofferenza. Ma anche di fronte a quello il mio corpo si rifiuta di collaborare per combattere ed opporsi.

Sono disgustata dal suo tocco, dal suo respiro, da lui dentro di me. Quello che più mi ripugna, però, sono io, il mio corpo che ogni volta che mi succede, anche se io non voglio, lui comunque, per non so quale processo automatico insito nella natura di ogni donna, risponde agli stimoli e ne lancia a sua volta. E questo incentiva gli uomini, li sprona, li convince che stanno facendo bene, gli fa credere che io voglio, che sono consensuale.

Invece vorrei solo morire.

Vorrei solo che qualcuno in questo preciso istante mi uccidesse, che il mio cuore smettesse di battere, che il mio respiro si fermasse.

Si ferma lui alla fine. Soddisfatto di aver ottenuto quello che voleva, di essersi liberato dentro di me, si stacca. Si sistema, tira su la lampo dei pantaloni.
E poi, pronuncia quelle maledette parole.

- Sapevo che lo volevi anche tu -

E se ne va.

No, no, no, no, no, no, no.
NO!
Io non lo volevo, io non lo volevo, non voglio che nessuno mi tocchi, non voglio il corpo di qualcun altro addosso al mio, non voglio sentire il respiro di un uomo sulla mia pelle, non voglio il dolore che si prova solo per il piacere altrui.

Vorrei solo essere lasciata in pace.

Ma come sempre la colpa è mia, chissà quali segnali gli ho lanciato, magari uno sguardo, un gesto, una parola, un sospiro. Non lo so, vi prego che qualcuno me lo dica.

Sono ancora qui, accasciata sul pavimento, esattamente come lui mi ha lasciata, alzarmi è impossibile. Il mio corpo ancora non risponde, sento le gambe deboli e tremanti. L'unica cosa che funziona sono le dita, che scavano solchi infiniti sulle mie braccia aprendo nuove e vecchie ferite.

Non so cosa succeda dopo, quando la mia mente riparte sono stesa a terra nel mio bagno, in una pozza del mio stesso sangue, gli occhi gonfi dal pianto, le braccia e le gambe martoriate, la lametta conficcata nel palmo della mano.

Sono le 13.30.

Ti prego, fa che non sia incinta. Non di nuovo.

The Darkness of LifeWhere stories live. Discover now