32. Al Black non si comanda (pt.1)

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Le quattro in punto. All'esterno l'acquazzone persisteva e l'alone grigio calato nello studio non accennava a dissiparsi.

Dall'infittirsi del racconto, più precisamente dalle vicende del reverendo Bersi, Audrine aveva smesso di fare domande. A un certo punto la sua faccia si era contratta, come se avesse succhiato uno spicchio di limone, e le rughe che tuttora le circondavano la bocca e la fronte non erano più sparite. Vegetava nella stessa posizione da una ventina di minuti circa – stilografica mai usata premuta su un solco sotto l'occhio, gambe accavallate, braccio sinistro abbandonato sul ventre e spalle buttate in avanti. Sembrava stesse faticando a mantenere un comportamento adeguato.

Lór si umettò le labbra screpolate, gli occhi fissi sulla penna da un po'. Un lampo argenteo brillò sulla copertura di madreperla. Prolungò il suo stesso silenzio per capire se la dottoressa le stesse davvero prestando attenzione – nemmeno il forte rombo che esplose l'attimo seguente riuscì a farle battere ciglio.

Dall'inizio della seduta Audrine non aveva appuntato nulla, il fascicolo incriminato giaceva intoccato sulla scrivania, il primo di una pila di cartelle cliniche sciupate dal troppo sfogliare. Allora guardò il registratore, la spia rossa lampeggiava ancora. Forse la penna serviva a conferirle un tocco di professionalità in più; oppure quel pomeriggio, semplicemente, non c'era niente da annotare.

Dopotutto, cosa avrebbe potuto scrivere sul suo conto?

"Non mi ha più interrotto".

L'espressione di Audrine non cambiò. Le crepe sul volto continuarono a indugiare, la sua perplessità anche. Solo le labbra, sottilissime e pallide, si schiusero meccanicamente. 

"Non ho domande da fare".

"Qualcosa l'ha turbata?" domandò monocorde Lór.

Audrine tentennò. Poi scavallò le gambe in un gesto pesante e lento, come se avesse dei mattoni attaccati alle caviglie. Era successo ancora, senza preavviso: Lóreley aveva cambiato atteggiamento in maniera plateale e palese. Nella sua voce non c'era più alcuna traccia di tentennamento, rimorso e dolore; le emozioni che l'avevano assalita durante la chiacchierata su ciò che era successo a Edith si erano nullificate di punto in bianco, lasciando spazio a una tranquillità anomala. Una tranquillità fredda, quasi... finta, recitata. Controllata.

"Sto solo realizzando. Pian piano, certo, ma lo sto facendo".

"Ha delle considerazioni da fare, al momento?"

"No. Non le ho. È troppo presto per averne" rispose la dottoressa un po' a fatica, e –per la prima volta– osservò con circospezione l'angolo in penombra accanto all'ingresso. Sezionò con una lunga occhiata quella fetta di buio in cui Lór era rimasta impicciata proprio sull'inizio della seduta, lì dove presumibilmente si annidava il motivo del suo appuntamento fisso del mercoledì: Bo'.

"Posso farle una domanda un po' personale?"

Audrine scosse la stilo una volta soltanto. Un altro lampo inondò la stanza di luce; l'angolino era vuoto. 

"Dimmi pure".

"Le ho raccontato del Litlaus, le ho raccontato delle maledizioni, le ho raccontato della Cerchia... e mi è parsa colpita. Non in positivo, certo, ma nemmeno contrariata. Le ho accennato la questione sul reverendo e lei non ha più aperto bocca".

"La mia è una reazione più che giustificata. Purtroppo, quel tipo di depravazione è reale".

"Non fraintenda, non è mia intenzione farci una statistica sopra. Però glielo chiedo comunque: il resto, per lei, ora come ora, non lo è? Reale, intendo. Le sue speculazioni sul capello si sono rivelate esatte, dopotutto. Si trattava proprio di Bodvár. Nonostante sia ancora scettica, ci ha comunque ragionato su. La ammiro".

Litlaus - Incolore {COMPLETA}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora