31. Buon sangue non mente

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Che qualche entità extracorporea potesse avercela con lei era già di pubblico dominio, oltre che una terribile ingiustizia, ma ora la situazione aveva assunto dei connotati talmente inverosimili e grotteschi da averle scatenato il mal di pancia, i...

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Che qualche entità extracorporea potesse avercela con lei era già di pubblico dominio, oltre che una terribile ingiustizia, ma ora la situazione aveva assunto dei connotati talmente inverosimili e grotteschi da averle scatenato il mal di pancia, il suo solito e molesto mal di pancia aizzato dall'ansia. Quanto in là si sarebbe potuta spingere la sua sfiga prima di stancarsi di torturarla? Lóreley sapeva di non voler sapere la risposta né di voler conoscere i retroscena: la corsa agli armamenti era appena iniziata.

Anaïs ancora rideva come una mocciosa quando si decise a ridarsi un contegno. Tornò ritta, mentre si sistemava i voluminosi boccoli biondi, e sullo spegnersi delle sue stesse risate si rivolse alla fantomatica Dóróthea –madre del suo peggior incubo– più raggiante di quanto Lór avesse voluto. Sperò che la felicità di cui le due erano complici si annullasse all'improvviso, spianando la strada all'imbarazzo, e che lo spettacolino si concludesse su due piedi con un'unanime oh, ma pensa te, credo proprio di averti scambiata per un'altra!.

E invece, manco a dirlo, si manifestò tutto il contrario.

"Oh, Dio, sembra passata un'eternità dall'ultima volta che ci siamo viste" osservò Anaïs, le labbra tuttora appuntate sulla faccia a mo' di sorriso. "Dieci anni? Dodici, forse?"

Dóróthea inghiottì una risatina e catturò una lacrima che minacciò di attraversarle il viso. "Se non ricordo male, alla festa di rimpatrio organizzata da Ísólfur" disse senza neanche rifletterci. "Sì, l'ultima volta deve essere stata quella. Ricordo che avevo i gemelli a casa con la febbre e Johanna con l'influenza intestinale. A dirla tutta non penso di essermela realmente goduta, quella serata! Avevo così tanti pensieri nella testa".

Un trillo di conferma risuonò nella scatola cranica di Lóreley non appena udì Ísólfur: Ísólfur Össursson, secondo in carica della prestigiosa equipe che stava alle calcagna dell'Hekla da una ventina d'anni circa; un signorotto sui cinquant'anni tozzo e robusto, con una strana ossessione per le freddure e gli occhietti marroni castigati da un leggero strabismo. Era un tipo festaiolo, pregno di una positività anomala che a lungo andare innervosiva, ma se era riuscito a riservarsi un posto d'onore nelle grazie di Anaïs –grazie a Dio, almeno lui– non era stato per volere del caso. Il quadro generale, come le si presentava, era fattibile. Tuttavia c'era un interrogativo grande quanto il cazzo di mondo a mantenerla sul chi-va-là: cosa aveva voluto intendere la dolcissima Dóróthea sillabando fluidamente festa di rimpatrio?

Una possibile conferma non avrebbe tardato ad arrivare, Lór ne avvertiva il fetore nell'aria. E Anaïs, tanto per cominciare, la indicò con l'indice smaltato e l'attenzione della combriccola vacillò inevitabilmente su di lei.

Lóreley fu tentata di mimitezzarsi tra gli abiti in saldo fino alla fine della chiacchierata, ma il senso di colpa riuscì a scardinarle dalla testa quella pessima idea: con ancora il dito puntato addosso ripensò al Black Pearl, alle torture a base di cera bollente subìte e al futuro roseo che Anaïs aveva faticato a costruirsi. Da sola. Non poteva ferirla, non in quel momento così delicato. Gli abiti in saldo avrebbero potuto aspettare, l'urgenza di rinchiudersi in bagno pure. 

Litlaus - Incolore {COMPLETA}Where stories live. Discover now