18. L'indovinello (pt.1)

850 99 65
                                    

Lóreley deglutì

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Lóreley deglutì. Peccava d'inesperienza e Rót sembrò carpirlo. Nonostante non avesse gli occhi e le rispettive cavità orbitali, lei poteva comunque sentirsi osservata, divorata da occhiate inconsistenti capaci di leggerle nell'anima. Perché di sé rimaneva solo quel frammento d'esistenza, al momento.

Il senso di smarrimento materiale era vivido, quello mentale la stava sfinendo alla stessa maniera di un brutto sogno. Sapere di avere un corpo dall'altra parte e al contempo non avvertire la pesantezza di braccia, gambe, busto e testa era terrificante. Si sentiva nuda, indifesa, e la coltre di nebbia che li abbracciava aveva un che di soffocante, anche se soffocare nel Litlaus era impossibile. Erano già tutti morti, lì dentro.

I pericoli c'erano, un istinto primordiale glielo suggeriva, ma non avevano niente a che vedere con Rót. Lui pareva essere l'ultimo dei problemi e per un momento chiuse gli occhi, assaporando una boccata d'aria per rimanere calma: emulare un gesto tanto spontaneo e necessario l'avrebbe fatta sentire al sicuro, decisamente.

Bergljót ancora si puliva le labbra quando l'albero senziente fu sorpreso da un sussulto. L'ondeggiare degli artigli venne interrotto da un tremolio anomalo e la testa, segata di netto nel mezzo, si spalancò, mutando in una cavità circolare, simile a un vortice buio. Un fiume di poltiglia viscida, densa come calce struzzo, prese a sgorgare dalla fenditura, andandosi ad accumulare sul corpo informe: aveva cominciato ad espandersi.

Gíta respirò forte per non darla vinta alla nausea. "Diavolo, Ber, scendi a patti e torniamo. Se cresce ancora saranno guai, lo sai".

"La fai facile, tu" le grugnì contro l'oratrice, le unghie che cercavano di raschiare via il nero sulla pelle. Una scrollata di spalle per levarsi di dosso i brividi di schifo e si voltò nuovamente, stavolta a brutto grugno. "E va bene, Rót, basta così. Ti ho detto che voglio siglare un patto: e così sia. La Seconda odia aspettare".

La testa della bestia continuò a ondeggiare da sinistra a destra mentre il rigurgito si arrestava. Sorrise, svelando una fila di denti aguzzi. Un centinaio, ad occhio e croce, tutti disposti ordinatamente e affilati come rasoi. Approfondire quest'ultimo punto, fortunatamente, non era nelle priorità di nessuno.

La Seconda, o meglio, quel che ne rimane, odia aspettare perché il tempo non aspetta nessuno. Consuma, mastica, divora... divora. Presto o tardi di te, Seconda, o meglio, quel che ne rimane, non rimarrà nulla. E io aspetterò il palesarsi di quel dì. Rót, come Radice, aspetterà. Sarai il mio nutrimento – Rót si curvò un poco, abbastanza da sovrastarla. Gli arti erano un tripudio di escrescenze e pulsazioni. – E diventerai una splendida Radice, una Radice dell'albero di Rót. I patti sono solo l'inizio, per cui... parla, bambina, e io ascolterò.

"Ho bisogno che tu estingua una maledizione".

Le maledizioni non si estinguono perché sono il male dell'uomo e il male dell'uomo non si estingue mai. Ma Rót può mangiarle.

Litlaus - Incolore {COMPLETA}Where stories live. Discover now