05. -Shakespeare era suo cugino

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"L'amore è presente solo quando il cervello lo decide.
Decide lui quando dare vittoria ai sentimenti.
Il cuore adesso non ha nessun ruolo, serve solo a pompare sangue, non i sentimenti.
Cervello e sentimenti non vanno d'accordo, il cervello ti dirà di non dare troppo peso ai sentimenti, ma quest'ultimi vinceranno su tutto.

Loro sono brutti e terribilmente amari.
Sono come una rosa, se la tocchi, ti punge.
Sono come il fuoco, se ti avvicini, ti brucia.
Come una pistola, può uccidere la gente se viene usata.

L'amore è quella cosa presente solo quando è abbastanza forte da riuscire a vincere contro il cervello.
Saresti capace di dare tutto, tranne il male."

Leggo ad alta voce il suo tema e fisso soddisfatta il suo lavoro.
"Dove hai sentito queste parole?" Domando.
Lui sorride beffardo e fa spallucce.
"Stai per caso sottovalutando il mio esteso quoziente intellettivo?"
Trattengo a fatica una risata e alzo le mani.
"No, per carità."

"Shakespeare era mio cugino."
"Facevi le scampagnate insieme a lui e a Charles Dickens?"
Lui annuisce.
"Sempre." Dice

Sbuffo e si passa nervosamente la mano tra i capelli.
"Andiamo via?" Domanda di punto in bianco.
"Ma sarai scemo in culo." Lo guardo seria e lui trattiene un sorriso alla mia risposta.
"Conosco una porta non sorvegliata, possiamo uscire da lì." Guarda lo stanza pensierosa.
Ma si, facciamolo.

"Lasciamo tutto qua. Promettimelo, 25 minuti massimo." Gli punto un dito contro con lo sguardo più serio possibile.
Lui alza le mani e fa di si con la testa, come se fosse un piccolo bimbo.

Mi alzo e lo seguo sotto lo sguardo distratto dell'uomo che dovrebbe tenerci sott'occhio.
Mentre osservo i suoi occhi più chiusi che aperti, mentre legge una rivista, riesco a beccare una sieda al centro delle cosce.

Alan si gira di scatto, mi afferra per la mano e mi butta dietro uno scaffale, con la speranza che l'uomo non mi abbia sentito.
"Ma si scem?" Credo sia una sua imprecazione napoletana.

Lui si gratta la testa e nello spazio libero tra un libro e l'altro, guarda che l'uomo sia ancora concentrato sulla sua rivista.
Mi afferra la mano e mi guarda scuotendo la testa come per dire "se non ti tengo io, beccherai direttamente la libreria."

Apre la porta con un colpo secco così da non creare rumore.
"Spiegami come fai a non vedere u a cazzo di sedia." Mi dice serio sospirando.
Questa domanda me la faccio spesso anch'io.
Abbasso lo sguardo e fisso le mie scarpe.

"Che ore sono?" Mi chiede.
"Cazzo" Mi sbatto la mani in testa. "Abbiamo lasciato tutto dentro!" Quasi strillo.
"Sai che questa è la prima ed ultima volta che seguiamo un tuo consiglio, vero?"

"Devi chiamare mia madre." Dice.
Si guarda in torno cercando qualcosa con gli occhi.
"Mi serve un telefono pubblico."

Entra dentro un bar a caso -dopo pochi metri dalla scuola- e riesce a vederne uno.
"Può dirmi come si usa?" Si rivolge al barista che risponde come usarlo.

"Premi la cornetta rossa." Lui lo fa.
"Adesso quella verde." Entrambe le mani sono occupate,una preme la cornetta rossa e l'altra tiene il telefono.

Incastra il telefono tra la spalla e l'orecchio e aspetta il prossimo passaggio.
"Adesso digita il numero."
"Comm sfaccimm facc, cu cazz? N'cul a mamm't, sor's e tutt a fimigl touj"

Trattengo una risata, la sua faccia è confusa.
Mi avvicino e lo aiuto, in pochi secondi riesce a chiamare sua madre e parlarle.

Mi metto al suo fianco e noto che tra poco dalla sua bocca uscirà della bava.
Osserva il cibo all'interno del frigo e si tocca la pancia.

"Teng na sfaccimm e famm." Dice a se stesso.
"Ma vuoi smetterla di parlare così? O almeno traducilo." Sbuffo rumorosamente e incrocio le braccia al petto.
"Ho detto che ho mota fame."

"E poco fa che hai detto?"
"Ho fatto un complimento al barista."

Nel silenzio tombale della stanza gli occhi miei e di Alan cadono sulle ragazza di fianco a noi.
Una delle due smanetta su telefono con tanto di insulti al genere femminile.
"Questa stronza sta sfidando il fuoco e pure la morte..." Spegne il telefono e lo infila in tasca.
"Chiamiamo i pompieri e l'anbulanza?" Le domanda Alan.
Gli do una spallata cosi da farlo zittire, ma il danno è ormai fatto.

Lei lo fulmina con il sguardo e alza il dito medio. Questo mi fa pensare al fatto che loro si conoscono già.

"La conosci?" Gli chiedo una volta fuori dal bar.
"Si. Solo sesso." Fa un sorriso falso e poi si incammina verso le strade.
"Non ci allontaniamo troppo, Alan." Lo fermo afferrandolo dalla mano e lui non sembra neanche farci caso.
"Ma siamo appena usciti!" Sbuffa e torna indietro.
"Torno in dietro solo perché sono io a volerlo,non perché me lo dici tu, che sia chiaro." Chiarisce subito e mi trattengo una risata ma con scarsi risultati.

"Ti sembro un Clown? Non hai nessun motivo per ridere." Mi lascia la mano e mi fermo un attimo a pensare ai suoi modi di fare con me.

Con i suoi amici è il perfetto ragazzo indifferente e che sta a sfottere tutti, nessuno escluso.
Riesce ad essere quella persona che ha un cambiamento evidente solo ai tuoi occhi, lui non ti degna di uno sguardo fuori, ma è il miglior ragazzo quando i suoi amici sono assenti.

Nel solito bar in cui tutti i ragazzi della scuola passano ogni giorno, lui mi ha a stento guardata e non ha voluto sapere nulla su di me e adesso potremo sembrare amici da una vita intera.

"Come faremo ad entrare a scuola?" Chiedo di punto in bianco.
"C'è la caveremo" Risponde semplicemente.

Mi allontano un attimo e mi avvicino ad un bar dove in vetrine tiene esposti dei dolci.
"Alan!" Lui si gira e subito i suoi occhi si incastrano nella torta al pistacchio e cioccolato bianco.

Tira dritto per l'entrata e con se, trascina anche me.
Si siede in un tavolo a caso ed io lo seguo, senza neanche il momento di respirare ci raggiunge il cameriere.

Io ordino il solito cuore caldo con crema al pistacchio e lui si lascia andare sul dolce che era proiettato dietro la vetrina.

"Sento odore di sospensione." Dico io.
"Io di cioccolato bianco." Risponde lui mentre odora l'aria.

The change [COMPLETA] ||Geôlier.Where stories live. Discover now