27-Bambola di ceramica

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Una bambola... Papà mi chiamava sempre così. Con dolcezza, ovviamente.

Diceva sempre "Sembri una piccola bambola di ceramica: vai trattato con cura ed amore." poi mi accarezzava il viso, sorridendo. Io ci credevo, credevo di essere una bambola di ceramica. Però, ho subito subito delle crepe e, giustamente, chi vuole un giocattolo rotto? Nessuno.

«Devi guardarmi.» prende fra le dita la mia mascella, costringendo ad incrociare il suo sguardo.

Sono una bambola, papà?  Allora lo diventerò realmente.

Non rispondo, non dico nulla, sto semplicemente in silenzio, ad osservarlo, senza muovere un muscolo, lo sguardo vacuo.

«Ecco, bravo. Sta zitto.» sorride, avvicinandosi al mio viso. Mi bacia ma non ricambio, nemmeno lo sposto. 

Alza la mano e un forte sibilo riempie l'aria. Prima che possa contenermi, le lacrime scorrono sul mio viso.

Continua a farmi del male e non posso far altro oltre chiedermi... perché?

Inizia a screditare più volte la mia persona e da qui, scollego completamente. Non voglio sentire assolutamente nulla, non voglio provare assolutamente nulla, non voglio assolutamente.

Sono una bambola di ceramica.

Anche quando inizia ad urlare insulti.

Sono una bambola di ceramica.

Anche quando sento il respiro corto.

Sono una bambola di ceramica.

Anche quando continua a mollarmi pugni.

Sono una bambola di ceramica.

Anche quando suona il suo cellulare.

Si blocca, inarcando un sopracciglio ed imprecando sonoramente.

«E chi cazzo è?» sbotta, allontanandosi.

Afferra il cellulare dalla tasca dei pantaloni e risponde incazzato.

Io continuo a guardare il soffitto, senza nemmeno respirare. Non mi importa di niente.

Dopo un paio di minuti, conclude la chiamata. Tornando a guardarmi.

«Ora devo andare, cazzo. Riprenderemo un altra volta.» rimette la sua maglietta, accarezzandomi la guancia.

Esce dalla camera, intimandomi di andarmene entro dieci minuti.

Mi rivesto anche io, uscendo dalla stanza. Scendo le scale e sento qualcosa gocciolare.

Aggrotto le sopracciglia e tasto la mia fronte, quando rimuovi la mano, vedo due dita imbrattate di sangue.

Deglutisco alla vista, tornando a toccare la ferita, sperando di bloccare la fuoriuscita.

Ho un altra crepa, papà. O forse sono due? O tre? O quattro? O, forse, sono completamente rotto?

Esco da questa cazzo di casa a passo svelto ‒ no, che dico ‒ ,praticamente corro via da lì. Non riesco a sopportare altro, mi sta cadendo tutto il mondo addosso, in questo preciso istante.

Avrei potuto morire.

Il respiro diventa più pesante e passo le mani fra i miei capelli. Credo di star per avere un attacco di panico, porca troia.

Danger-Zone  |KookTae|Where stories live. Discover now