Confessioni

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Alle 4:02 del 24 gennaio 2016 la quiete prese possesso di ogni cosa, quasi fermando il tempo: pareva muoversi solo un piccolo fiocco di neve, che cadde lento fino a posarsi sul parabrezza dell'auto, per poi essere spazzato via dai tergicristalli.

Hai ucciso una donna. Mi ripetevo in mente, puntando un dito accusatorio e sprezzante contro me stessa.

Avevo appena ucciso un essere umano. Con che coraggio mi sarei potuta guardare allo specchio da quel momento?

Assassina. Non sei diversa da chi ti sta incastrando.

No, non lo ero. Ma mi giustificai rifugiandomi nella scusa di legittima difesa. In fin dei conti non era mai stata mia intenzione toglierle la vita, era stato solo un terribile incidente. Nonostante tutte quelle scuse però, sapevo che non l'avrei scampata. Nè se avessi confessato, nè fuggendo; mi ero lasciata troppe briciole dietro, ma soprattutto la polizia era convinta che avessi ucciso altre tre persone, non ci avrebbero messo più di qualche ora ad incriminarmi per tutti e quattro, utilizzando le sole prove che avevano: quelle dell'unico delitto avvenuto per mano mia.

Come se non bastasse mi accorsi solo in quell'istante di aver lasciato le chiavette USB in tasca al cadavere.

"Porca puttana!" Imprecai colpendo il volante ripetutamente. Ero fottuta.

Nonostante l'asfalto ghiacciato schiacciai l'acceleratore a tavoletta: l'unica cosa che volevo in quel momento era tornare da Henry per chiarire le cose con lui prima di essere arrestata.

Ero stanca di fuggire da me stessa, di sottovalutarmi e pormi mille quesiti prima di agire, dovevo cominciare a seguire l'istinto e non avere peli sulla lingua.

Una volta arrivata alle porte della città decisi di abbandonare la macchina: avrebbero rintracciato l'auto in meno di 24 ore, trovato le mie impronte, l'arma del delitto, e soprattutto la mia corsa contro il tempo si sarebbe conclusa all'istante.

Accostai al lato della strada. Ripulii ogni singolo centimetro dell'auto in cui potevano esserci tracce di DNA o impronte digitali, giusto per evitare di fornirgli motivi in più per darmi la caccia, e mi inoltrai nel silenzio notturno.

Non c'era anima viva in quel quartiere, le luci giallastre dei lampioni tremolavano di tanto in tanto facendo prevalere per un misero attimo l'oscurità.

Scelsi di fare le cose con calma, anche se le sirene della polizia mi risuonavano già nelle orecchie senza darmi pace. Presi la pistola e la infilai nell'elastico dei pantaloni mentre scendevo dall'auto; perlustrai la via con lo sguardo verificando non ci fossero testimoni o videocamere, e scelsi una macchina tra quelle parcheggiate. Ma proprio mentre stavo per sfondarne il vetro, un autobus di linea si palesò in lontananza. Nulla di meglio per non farsi notare, pensai.

Lo fermai e salii a bordo.

Le case cominciarono a scorrere veloci fuori dagli ampi finestrini, opacizzati da un leggero strato di ghiaccio.

Ero la sola passeggera, tranne che per un'uomo seduto in uno dei sedili in fondo.

L'aria era viziata dentro l'abitacolo, quasi soffocante. E il silenzio era accompagnato solamente dal rumore della vettura.

Tirai un'occhiata al tizio seduto, indossava un'impermeabile nero e un berretto da pescatore verde militare. Rabbrividii al pensiero che potesse essere un altro sicario mandato da Sharon Bloss.

Una volta arrivata non feci caso alle auto che sfrecciavano lungo la strada, e attraversai, in balia del panico. Ringraziai distrattamente un inquilino in uscita per avermi tenuto il portone aperto, ed entrai correndo. Ma quando fu il momento di bussare alla porta di William esitai. Come potevo presentarmi così, dopo essere scomparsa nel bel mezzo della notte? Mi sentivo un'ipocrita.
D'altro canto però, pensai che se me ne fossi andata di nuovo avrei solo peggiorato le cose, così mi feci coraggio, e bussai.

Repulisti - La ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora