Mormorii.

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Il medico entrò a passi veloci nella stanza, fermandosi in corrispondenza del letto, posò la grossa borsa che teneva in mano sulle lenzuola bianche e ne estrasse un'infinità di utensili.

Per fortuna non riuscii a vederli, la gamba sana mi copriva la visuale, ma dall'espressione preoccupata di Jason capii che non erano oggetti molto invitanti.

Dopo ore che frugava inutilmente dentro al bagaglio, il presunto "dottore" estrasse una grossa siringa di vetro.

I brividi mi percorsero la schiena come un branco di formiche. Cambiai idea, quell'ago non avrebbe oltrepassato il mio spazio vitale.

Mi irrigidii spaventata.

L'uomo picchiettò leggermente sul vetro, smuovendo il liquido trasparente contenuto all'interno; successivamente con presa salda mi afferrò il braccio, cercando la vena.

Rimase qualche secondo, che a me sembrò più di un'ora, a scrutare con attenzione l'incavo del gomito da sotto gli occhiali spessi.

Sentii il battito del mio cuore nelle orecchie che accelerava.

Poi, improvvisamente, il medico si raddrizzò e tornò a rovistare nella borsa, sbuffando.

Provai a calmarmi facendo dei respiri profondi.

Quando finalmente trovò ciò che cercava, un tubicino di gomma giallognola, si affrettò a legarmelo stretto nella parte superiore del braccio. Dopodiché, senza esitazione, inserì il sottile ago di metallo nella vena. Percepii un leggero pizzicore, poi il liquido scivolò torrenziale e caldo nel muscolo.

Cominciò a girarmi la testa, così i suoni, i rumori, e persino il dolore, scomparvero, lasciandomi cadere nell'oblio.

Giugno 2015

"Shhh" disse una voce nell'oscurità.

Mi lamentai dell'unico spiraglio di luce, in quel preciso momento del giorno i raggi del sole mi illuminavano dritto in faccia.

"Stai zitta" ripetè la stessa voce.

Suonava più come un consiglio che come un'ordine. Mossi i polsi, intorpiditi dal peso delle catene, cercando di portarli al viso per ripararmi dalla luce.

Quando finalmente riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo intorno, notai una figura maschile china su di me.

Inizialmente sussultai spaventata accorgendomi di non sentire le gambe, ma poi lo strano tipo sollevò la testa, esibendo un paio di occhi chiari dietro una montatura tonda e delle lenti spesse.

"Ti andrebbe di stare ferma? Ti sto solo aiutando ma se ti muovi non riesco a lavorare." Disse cortesemente.

Rimasi in silenzio e annuii terrorizzata.

L'uomo abbassò nuovamente il capo, mostrando un cipiglio folto di capelli brizzolati.

Stavo sognando, non c'era altra spiegazione a quell'assurdità.

Nessuno poteva aiutarmi, nessuno doveva aiutarmi. Ero sola in quel posto e dovevo rimanerci finché non sarei diventata una donna nuova. Questa era la regola.

"Ecco!" Esclamò "ho finito."

Con un'espressione soddisfatta si sollevò inginocchiandosi di rimpetto a me, guardando con fierezza il suo lavoro: da sotto le bende si intravedeva un filo sottile che univa le ferite con precisione chirurgica.

"L'effetto dell'anestetico sparirà fra un paio d'ore." Disse l'uomo come leggendomi nella mente.

"Erano ferite parecchio profonde, ho dovuto per forza anestetizzarti, altrimenti avresti sofferto troppo. Come stai ora?" Mi chiese. Non lo vidi in viso, ma immaginai un'espressione affranta e colpevole, pentita della domanda. O almeno così avrei voluto che fosse.

"Lei chi è?" Riuscii a dire, affaticata, come se pronunciare quelle parole mi avesse risucchiato tutte le energie.

L'uomo sospirò, chiudendo con un click una valigetta. Non rispose, limitandosi solo ad alzarsi in piedi e dirigersi sotto forma di una sagoma scura verso la porta.

"Mi dispiace Adeline." Disse, per poi sbloccare in un fragoroso scricchiolio la soglia, e chiuderla non appena fu fuori. Lasciandomi sola nel buio.

Piansi, piansi tanto, finché non mi sentii prosciugata, come un piccolo fiume in un'estate scottante.

Mi rannicchiai raccogliendo le ginocchia al petto.

Il buio, il freddo, la solitudine, erano diventati miseri dettagli della mia esistenza.

La Morte mi sussurrava nelle orecchie frasi confortanti.

Una leggera brezza mi solleticò le braccia.

Delle voci si infiltrarono nella mia mente, sussurrando parole incomprensibili, come un'accozzaglia di mormorii e bisbigli.

Urlai pregando Dio che quel fragore smettesse.

Angosciata e sfinita strinsi nelle mani le ciocche di capelli presenti attorno al padiglione uditivo, quasi strappandole dalla disperazione e lo sconforto.

Un mio urlo straziante si aggiunse al frastuono. Dopodiché tutto tacque.

Tremavo, con la testa fra le ginocchia e il sangue che colorava il viso con sottili scie rosse, mentre crollavo sempre più fra le braccia della follia.

Repulisti - La ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora