2 - La belva è fuori.

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Dio come volevo assaggiare il suo sangue caldo, e mischiarlo al sapore zuccherino e agro di quegli agrumi!

Scossi la testa furioso e continuai a correre in direzione opposta all'uomo, dicendomi nella testa che, forse, non aveva un cellulare con se. Mi mentivo, perché, in quell'attimo preciso, soggiogarlo per usare il suo telefono, non sarebbe stata la priorità.

Dopo minuti di tormento e, controllo faticoso dei miei istinti di conservazione, ero in vista del fumo di un comignolo, avrei bussato ad una casa, e chiesto che mi facessero telefonare. Ma sarei rimasto all'esterno se potevo. Non volevo farmi invitare dentro.

Una villetta ben tenuta, con un orto, un giardino dall'erba curata, e un utilitaria parcheggiata nel vialetto, mi diede il suo benvenuto.

Tranquilla e placida, nel circoscritto mondo provinciale delle piccole città, quella dimora, non doveva conoscere la presenza di una creatura della notte come me, anche se, l'anello che portavo, celava la mia natura confinata nelle tenebre.

Suonai il campanello con un sospiro, poco dopo la porta dipinta di verde brillante si aprì, scoprendo una faccia rugosa, ma gentile, che apparteneva a una figura di donna rotonda e rassicurante come la nonnina delle favole.

Sorrisi nella mia faccia da bravo ragazzo, nei miei vestiti impolverati ma dignitosi, nella mia aria rassicurante che celava il lupo.

Mi odiai, visceralmente, in quel momento.

«Buondì signora! Mi deve scusare se la disturbo, sono finito fuoristrada e ho l'auto inservibile, il mio portatile si è rotto, potrei telefonare?" La donna era sull'uscio non potevo ammaliarla, mi scostai un poco indietro, cosicché, per osservarmi in piena luce, dovesse uscire dallo specchio della porta, un trucco vecchio come i miei cento quarantatré anni da vampiro.

Il suo sguardo si indurì di colpo, osservava il mio colletto sporco del sangue del coniglio, e forse, anche di quello dell'inserviente del treno, razionalmente poteva credere a una ferita per l'incidente, invece, disse sicura, diretta come un dardo di legno scagliato al mio petto: «Non so come cammini al sole, ma ti avviso che sono piena di verbena, quindi esci dalla mia proprietà. Mio figlio sarà qui a breve e sa usare bene il lanciafiamme con cui bruciamo le sterpaglie».

Il mio sguardo passò dalla sorpresa alla determinazione «Se sa cosa sono, sa anche che non conviene minacciarmi. Ma ripeto, sebbene, possa sembrare il contrario, voglio solo telefonare. Mi lanci un telefono qui fuori, appena finito me ne andrò e non mi vedrà più».

«Perché dovrei crederti?!» La sua voce adesso sembrava un filo meno determinata, ma era incredibile quanto quella signora dall'aspetto innocuo sostenesse impavida il mio sguardo.

«Perché è l'unica possibilità che ha» Risposi calmo e serio, doveva credermi.

Lei mi lanciò un occhiata penetrante, ed estrasse, dalla tasca davanti, del suo grembiule da cucina a fiorellini, un cellulare acceso, lo lanciò verso di me, lo afferrai, e feci un cenno d'assenso con il capo.

Sperai in quell'attimo che Klaus non fosse in grado di vedermi, oltre a tutto, adesso pregavo anche che queste persone innocenti, non ci andassero di mezzo nella mia guerra di morte personale.

Mi allontanai di qualche passo, mi sedei, improvvisamente esausto, su una vecchia sedia arrugginita mentre sentivo pulsare, il cuore della donna, in maniera irregolare, a causa della paura, e, una parte di me, voleva solo aspettare che tornasse il figlio, per squarciare la gola a tutti e due.

Composi il numero di Damon, vari squilli a vuoto, scongiurai che rispondesse a quel numero sconosciuto, e continuai ad attendere senza interrompere anche dopo vari minuti, alla fine, la voce sprezzante di mio fratello mi ringhiò contro.
«Amico, ringrazia che in questo momento sono calmo, e, ultimamente, fidati non lo sono mai! Chi cazzo sei?!».

Stefan Odyssey||Steferine/DelenaWhere stories live. Discover now