Nineteen: rollercoaster.

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Lui era in coma in un letto d'ospedale, mentre io ero qui a divertirmi in compagnia di colui che si stava rivelando tutto fuorché il mio allenatore. Che razza di sorella ero?

Poggiai un gomito sulla superficie liscia del ripiano difronte a me, e il mio palmo entrò in collisione con la mia fronte.  Un respiro di pura frustrazione abbandonò le mie labbra.

«Vuoi qualcos'altro?» Mi domandò gentilmente una voce dall'altra parte del banco, che riconobbi appartenere al barista che, nel giro dell'ultima ora, mi aveva riempito il bicchiere almeno una decina di volte.

Nonostante sentissi le gambe molto gelatinose, e malgrado la pareti del grande salone sembrasse un po' ballerine, decisi comunque di prendere un altro drink, sul fondo del quale, per l'ennesima volta in quella sera, avrei affogato i miei pensieri.

In pochi minuti mi trovai sotto il naso un altro Margarita, e il forte odore di alcol m'invase subito le narici.

Non feci in tempo ad appoggiare le labbra sul bordo del bicchiere che due grandi mani si posarono da dietro sui miei fianchi, facendomi sobbalzare e per poco capitombolare dallo spavento.

«Balla per me».

Quella voce, accompagnata dall'inconfondibile profumo di colonia, fece propagare sulla mia pelle calda una lunga scia di brividi, che corsero dal punto in cui le sue labbra avevano sfiorato il mio lobo fino alla base della mia colonna vertebrale.

Quelle tre parole appena mormorate, che nel loro insieme componevano una richiesta proibita, accesero nel mio petto una fiamma ardente. Adrenalina liquida iniziò a scorrermi nelle vene, e il punto in cui i polpastrelli di Harry sfioravano appena il tessuto leggero della mia camicia sembrava andare letteralmente a fuoco.

Non me lo feci ripetere due volte.

Balzai di scatto in piedi, voltandomi verso un Harry profondamente sorpreso dalla mia reattività, che, su per giù, sebbene avessi bevuto parecchio, sembrava ancora intatta.

A metà tra il barcollare e il camminare, travolta dal coraggio versatile donatomi dall'alcol, avanzai verso il centro del locale gremito di gente, per lo più ubriaca quanto me, distanziandomi dal riccio giusto un paio di metri.

Feci un respiro profondo, passandomi le mani tra i capelli, poi giù fino al collo sudaticcio. Ero certa che l'indomani, a mente lucida, mi sarei pentita amaramente di questa mia spavalderia.

In ogni caso sarebbe stato domani; non di certo quella sera.

Sfruttai il fiammifero che l'alto tasso alcolico e il tocco di Harry avevano acceso in me, e mi focalizzai sul captare la canzone che le grandi casse poste a lato del bancone stavano riproducendo.

Higway to Hell, degli AC/DC.

Non avrei potuto chiedere di meglio.

Come una manna dal cielo, quella canzone era giunta al momento esatto per far ballare il mio corpo, che si era adattato fin da subito alle sue note ruvide e decise.

Una scarica d'energia mi attraversò dalla testa ai piedi: il battito del mio cuore e il mio respiro si sincronizzarono con gli acuti, mentre il bacino seguì a ruota i bassi del sottofondo.

Sins » h.s Where stories live. Discover now