Fourteen: a call from the hell.

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Non importa
quanto sofisticate siano le nostre scelte,
o quanto bravi siamo a dominare le probabilità:
il caso avrà comunque l'ultima parola.
-Nicholas Nassim Taleb.

-Nicholas Nassim Taleb

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Era passata una settimana dall'ultima volta che avevo visto Harry. Una settimana da quello che era successo a casa mia, con mio fratello.

Fortunatamente le cose con lui si erano risolte nel giro di un paio di giorni, anche se -sempre e comunque- tra vari battibecchi e porte sbattute sonoramente in faccia.

Non potevo dire lo stesso con Harry, però. Non lo avevo più cercato da allora. E anche lui, dal suo canto, aveva fatto lo stesso.

Non che me ne importasse francamente. Meglio così, ultimamente si stava impicciando troppo nella mia vita, stava iniziando ad assumere un ruolo che non gli doveva assolutamente appartenere. Con presunzione e arroganza, era riuscito ad indebolire la mia corazza, a scalfire le mie mura: mi aveva fatta cedere. E questo non sarebbe mai dovuto accadere.

Era il mio allenatore, e l'unica cosa che avrei dovuto condividere con lui erano gli allenamenti; nient'altro.

Ero certa che anche lui sapesse di aver esagerato quel giorno, di aver sbagliato ad intromettersi in un discorso così delicato e che riguardava solo me e mio fratello, perché, inevitabilmente, ciò aveva finito per farci litigare. Cos'era, allora, che lo frenava dal cercarmi o dal chiedermi scusa? Semplice, il suo orgoglio grosso quanto una cazzo di casa. Per questo non si era più fatto vivo.

In ogni caso, da un lato ero anche contenta di ciò: era la mia vita, lui non mi conosceva e, dunque, non aveva nessun diritto di intromettersi. Nemmeno io lo conoscevo, a dire il vero. Dovevo ancora capire come avesse fatto a sapere dove abitavo, ad avere il mio numero, a conoscere il mio posto di lavoro. Ma, soprattutto, dovevo ancora capire perché Louis avesse scelto di affibbiarmelo come nuovo coach. Del resto i miei allenamenti potevano continuare benissimo anche senza di lui, poiché, per fortuna, mi rimaneva sempre mia cugina Sarah, una delle migliori nel suo campo.

Fu proprio quella mattina, mentre ero presa in uno degli allenamenti con lei - dato che avevo ricominciato ad allenarmi proprio in quegli ultimi giorni, all'interno della solita, vecchia palestra fatiscente- che il mio telefono squillò.

«Vai pure a rispondere» mi concedette Sarah, indicando con un cenno del capo il cellulare che avevo lasciato su una panchina, ed il cui schermo stava ora lampeggiando ripetutamente, segnalando l'arrivo di un messaggio.

Annuii in risposta, bevendo un sorso d'acqua da una bottiglietta. Sarah si sedette su un'altra panchina per riposarsi un attimo, ed io m'incamminai in direzione del mio telefono.

Sins » h.s Where stories live. Discover now