Eighteen: born again.

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Più il tempo passava, più il mio intestino si contorceva dall'ansia che scaturiva dall'idea che potessi venire scoperta, considerando che i miei documenti erano ancora in mano alla polizia. A contatto con gli sbirri, le guardie e il freddo metallo delle sbarre, non mi sentivo per niente al sicuro. Non che avessi paura, semplicemente... ero tremendamente agitata. E spossata. E avvertivo la mancanza incolmabile di Jason.

Mi passai nervosamente una mano tra i capelli. Lanciai l'ennesima occhiata all'orologio posto sulla parete grigia del corridoio. 19.10. Sbuffai.

Avevo chiamato ancora tre ore fa, e ormai iniziavo a credere che non sarebbe mai arrivato. Il mio stomaco brontolò.

«Hai fame?» domandò all'improvviso una voce.

Alzai il capo: davanti ai miei occhi, oltre le sbarre, si presentò il corpo tonico dello stesso poliziotto che mi aveva interrogato poc'anzi, stretto in una camicia azzurra e un paio di pantaloni neri dal taglio molto asciutto, che ne mettevano in risalto la muscolatura allenata.

Sbuffai una risata, alzando gli occhi al cielo nel realizzare che quella domanda era stata volutamente fatta con grande sarcasmo, visto che il giovane teneva tra le mani proprio un bel panino.

Lo guardai con la coda dell'occhio, giusto per non dargli importanza, e lo vidi azzannare con gusto quella che, con tutte le probabilità, sarebbe stata la sua cena. Ne prese un gran boccone, prima che riprendesse a parlare con la bocca piena.

«Il tuo ragazzo non è ancora arrivato?»

A quel punto mi girai.

«Non è il mio ragazzo» tagliai corto, guardandolo come se avesse appena detto la cazzata più grande della sua vita. E beh, in effetti era ciò che aveva appena fatto.

Feci finta di prestare momentaneamente attenzione alle mie unghie, anche se, in realtà, i miei sensi erano in allerta nei confronti del biondo, che non accennava minimamente a volersi spostare. Lo intravidi infatti impegnato a scrutarmi da capo a piedi, attento come un'adolescente difronte alla vetrina di un negozio di videogiochi. Il suo sguardo penetrante mi si riversava addosso in continue ondate di quella che, all'apparenza, sembrava genuina lascivia, e non ci volle molto tempo affinché un'altra delle sue frasi studiate l'accompagnasse.

«E così mi stai dicendo che sei single?» le sue labbra rosee si piegarono in un ghigno divertito.

Puntai di scatto le iridi nelle sue, che furono svelte a legarsi al mio azzurro. Mi staccai dalla parete e, con fare seducente, gli feci cenno con un dito di avvicinarsi, riservandogli un'occhiata che si sarebbe potuta intendere in molti modi fantasiosi. Misi il viso tra le sbarre e, suadente, gli sussurrai all'orecchio: «Toglimi una curiosità... Questo è un trattamento speciale o lo riservi a ciascuna delle ragazze che rinchiudi qui dentro dopo che le hai sfinite con uno dei tuoi pallosissimi interrogatori?».

Mi scostai, facendo schioccare la lingua sul palato in segno d'insolenza; successivamente mi godetti lo spettacolo: il giovane si azzittì totalmente, e sul suo volto sparì qualsiasi traccia di lussuria o divertimento; al suo posto, invece, un'espressione visibilmente seccata gli marcò i tratti, rendendoli improvvisamente più rigidi. Capii solo allora che quel Casanova da quattro spiccioli doveva aver ricevuto ben pochi "No" durante la sua esistenza da parte del genere femminile e, per un attimo, questo dettaglio insignificante mi riportò alla mente Harry. Maledissi il moro e il suo ritardo, che mi stava costringendo ad intrattenere una conversazione decisamente inusuale con un poliziotto che, seppur fosse piuttosto sexy, si stava atteggiando come un rubacuori degli anni '80. Uno stupido cliché.

Sins » h.s Where stories live. Discover now