Il naufrago e la cometa (Prologo e Cap.1)

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PROLOGO

Terra...

La Grande Capitale era una visione stupenda, spregiudicata. Muro di rostri, labirinto di specchi, sinistro massiccio artigliato al più rovente dei deserti; giungla di titanio sotto cieli d'aurora.

Smisuratamente frusciante e ronzante, figlia del più vasto e complesso apparato tecnico, la città sposava l'utopia delle superfici non orientate: lunghi tragitti cingolati, stupefacenti nastri di Möbius che non portavano mai altrove né avanti, ma sempre e indefessamente al punto di partenza. Sicché, sebbene tutto scorresse, laggiù tutto era immobile. Nulla mutava, tutto transitava, sciamava fluido, senza allontanarsi troppo. Centinaia di nastri trasportatori scorrevano, magnificamente; corde funamboliche, ragnatele lanciate da un palazzo all'altro, a precipizio su nebbie lattescenti. E donne e uomini scorrevano lungo quelle piste. Scorrevano con mani premute su argentee balaustre, i volti carichi di anni e gli animi sgravati da qualsiasi responsabilità.

Abbasso, oltre un'impalpabile cortina di vapori, un traffico invisibile indovinava bisettrici e intersezioni matematiche.

Tappeti, cose e persone scorrevano. Scorrevano senza dover lavorare di freno, straordinariamente concertati, a mancare tremende collisioni per calibratissimi millimetri. Mai una brusca sterzata, mai un sobbalzo.

Solo sussurri, geometrie fulminee in anonime gore.

Persino i venti tiepidi del futuro anteriore scorrevano per tornare indietro, assieme a cose e persone, permeando l'intera, funerea emanazione della Grande Capitale: spenti obelischi e glabre torri senza vetri, cipressi per l'ultima oasi di civiltà planetaria. Uno fra gli ultimi presidi delle Terre a Tramonto, di nome e di fatto.

Corpi muti assecondavano direttive senza orizzonte e almanaccavano le ore rigorosamente pianificate dall'aurora; l'aurora che era legge; la legge che era il sacro serpente arcobaleno, il Verbo che nella prima manualistica di riferimento era stato battezzato GWI e poi, più agevolmente, rinominato Big One: l'ectoplasmatica sorgiva, il tentacolare e onniveggente spettro elettromagnetico sospeso nei cieli metropolitani, vanto e merito del genio indiscusso il professor Kowalskij.

Big One, l'eterea cupola, era effettivamente in grado di predisporre, regolare, interconnettere e in ultima incanalare nel flusso la totalità della realtà urbana. A titolo di oracolo cibernetico, l'aurora possedeva il monopolio della verità, concertava il libero pensiero, presiedeva al divertissement, recapitava a domicilio il mondo – ovvero il surrogato di quel che ne restava –, dispensando altresì i debiti ologrammi sulle lenti d'ossidiana, gli occhiali che tutti i Senex indossavano, senza eccezioni.

In breve, la Grande Capitale, amalgama di circa un miliardo di postume solitudini, recitava convintamente il mantra olografico, i dettami di Big One, occhio di ogni occhio e insieme confine ultimo di ogni prospettiva.

Perciò, anche quel giorno come ogni giorno, i nastri trasportatori scorrevano. Scorrevano magnificamente, portando a spasso lei.

Emma. Una Senex come tante.

Una "giovane" Senex nei cui timpani – per merito dei gemelli di Melete – rimbombava la voce di Big One, il pastore cibernetico, e sulla cui retina – grazie alle lenti d'ossidiana – palpitava incessantemente la medesima, camaleontica e multiforme matrice aurorale all'evenienza restituita quale prosperosa soubrette, amabile cucciolo domestico, esotica location marina o – nel caso in esame – saggio uomo col camice, bianco guru del Benessere.

Il naufrago e la cometaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz