Il tempo delle attese

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Yoongi continuava a rigirarsi il libro fra le mani. Aveva fatto accomodare Jimin sulla sua piccola poltrona e gli si era poi seduto vicino su una sedia. Aprì la prima pagina.

"C'era il mio nome. Sapevi anche il mio nome..." emise una strana risatina "che idiota sono stato..."

"Perché? Se ci abbiamo messo tanto è colpa mia che non ti ho detto nulla-" replicò acceso Jimin.

"Ma io avevo capito com'eri fatto" tagliò corto Yoongi scuotendo la testa in modo sconsolato "alcune cose ti si leggono addosso. Avrei dovuto pensarci che sarei dovuto essere io a fare il primo passo e a dirti la verità".

Jimin non voleva sembrare sciocco, ma si sentiva un po' confuso per cui chiese timidamente:

"Il primo passo per cosa? Tu sapevi... sapevi chi ero? Mi avevi riconosciuto anche tu?"

Se così fosse stato ciò avrebbe significato che anche il più grande aveva la sua parte di responsabilità in questo fraintendimento, ma invece che fargli provare fastidio o rabbia il pensiero che Yoongi lo ricordasse gli fece battere il cuore più veloce "ma io non ho detto niente proprio perché ti ho visto-"

"Mi hai visto fingere. Ho finto anche io di non conoscerti, pensando però che se mi fossi messo lì vicino a quello scaffale preciso, la seconda volta che mi hai visto, tu avresti ricollegato. Non so nemmeno io cosa stessi facendo in realtà, e adesso che la dico così mi sembra davvero un'idea stupida e assurda. Il punto è che io non ero sicuro che avessi tu il mio libro, ma volevo sperarci. E invece ti ho dato un dispiacere e il tutto per il mio egoismo".

"Yoongi, scusami però non credo di capire bene. Tu sapevi chi ero" ripetè Jimin come un automa.

"Si".

"Ok. Ok" Jimin prese a muovere la testa in segno di assenso mentre cercava di elaborare questa nuova informazione. Si sentiva senza fiato, ma cercò di vincere la propria emozione per dare precedenza ai chiarimenti di cui così tanto entrambi avevano bisogno "Ve bene. Però perché saresti stato egoista?"

"Jiminah, c'è un'altra cosa che non sai. Quando sono venuto in libreria quel giorno... beh non era la prima volta che ti ho visto qui a Seoul".

"Cosa??"

"Viviamo nello stesso quartiere... c'è stato un giorno in cui mi è sembrato di vederti al supermercato, tu eri già alla cassa mentre io ancora in fila. Non ho capito nulla in quel momento, però per qualche motivo mi sembravi familiare. Poi un'altra mattina ti ho visto di nuovo, stavi entrando nella libreria dove lavori. Sono riuscito ad associare il tuo viso al ricordo che avevo di quel giorno a Daegu, ma non ero sicuro, volevo guardarti meglio. Allora... lo so che suona da psicotici, ma ho deciso di entrare e... seguirti..?" Yoongi si portò la mano alla nuca muovendosi a disagio sulla sedia "aaah qual è il modo migliore per dire questa cosa senza sembrare davvero uno spostato?"

Se non fosse stato troppo preso dallo stupore Jimin avrebbe probabilmente riso. Quante volte aveva evitato di dire tutto a Yoongi solo per paura di sembrare un pazzo? O strano? Inquietante? Ora invece era proprio Yoongi che gli diceva la stessa cosa. Ma perché al destino piacciono così tanto i parallelismi? pensò. Yoongi intanto sembrava pensieroso, forse si stava chiedendo se continuare o no con la sua confessione. Alla fine lo vide fare spallucce e continuare:

"Vabbè, tanto ormai è andata. Che non sono uno spostato dovresti averlo ormai capito..." ridacchiò "o almeno, non uno spostato completo. Comunque, io ovviamente non sapevo che tu lavorassi li, la mia idea immagino fosse quella di venirti intorno per cercare di capire meglio se eri davvero tu il ragazzino con cui avevo parlato alla stazione. Lì ho capito che eri proprio uno dei commessi, il che mi ha sorpreso visto che tu non sei di Seul. Ho quindi anche realizzato che forse la tua decisione aveva a che fare con la nostra conversazione. Ed è qui che entra in gioco il mio egoismo Jimin. Ho detto ho capito, ma in realtà non potevo esserne sicuro. Io ho sperato, con tutto me stesso, intensamente, che tu adesso fossi a Seul, lontano da casa tua, ma circondato da ciò che ami di più, perché nonostante tutti i tuoi timori e la tua giovane età in qualche modo avessi trovato un po' del coraggio che all'epoca ti mancava seguendo il mio consiglio. Insomma io... io speravo di aver fatto breccia in te, di aver lasciato un segno nella tua vita. Ne avevo bisogno. In quel momento avevo estremo bisogno di sapere che potevo dare qualcosa, che la mia esistenza non era completamente inutile e che anche se il mio sogno era già fallito una volta, non sarei rimasto nell'ombra per sempre. Tu non mi hai visto la prima volta che sono entrato in quel negozio, ma io ti ho osservato per un po'. Mi sei parso così tranquillo, rilassato, parlavi con le persone con il sorriso. C'era in te ancora una traccia del ragazzino dolce che avevo incontrato, ma tutto quello che lo teneva a freno era sparito. Sembravi davvero felice e sicuro di te. Se solo avessi potuto avere la certezza che quell'energia te l'avevo in parte tirata fuori io... per me sarebbe stata la prova di essere riuscito ad aiutarti e se ero riuscito ad aiutare te a realizzare il tuo sogno, perché non avrei dovuto trovare le forze per realizzare il mio? Per questo motivo non ho detto nulla, Jiminah. La prima volta che ci siamo incontrati sembrava davvero che tu non avessi idea di chi fossi e è stata dura da digerire. Ho però continuato a sperare e sono tornato, ma avevo già deciso di non rivelarmi. Volevo essere sicuro al cento per cento che ti ricordassi davvero di me, e non mi dicessi di sapere chi ero solo perché io te lo avevo ricordato. Insomma, forse il mio discorso non ha senso, voglio solo dire che se sono stato zitto tutto questo tempo è solo perché volevo capire se non ero... dimenticabile".

WaitingWhere stories live. Discover now