Seven: nightmare.

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Afferrai con titubanza la penna e lessi il titolo dei fogli che mi erano stati posti: "Documenti per il consenso al trattamento psicologico".
Deglutii, non volendo leggere oltre. Senza pensarci due volte, firmai tutti gli spazi contrassegnati da una piccola croce, per poi restituire velocemente il tutto alla donna bionda, ora intenta a digitare sulla tastiera, volendo allontanare il più presto possibile quei fogli da me. Se mi fossi soffermata a riflettere su ciò che stavo facendo, mi sarei girata e sarei ritornata sui miei passi, dritta a casa. Ma, dato che per mia cugina Sarah questo era ciò di cui avevo bisogno, non avevo avuto altra scelta. In quel periodo, non essendo più momentaneamente in grado di decidere in modo autonomo per me stessa e per il mio bene, dopo quello che era successo, mia cugina sembrava aver preso in mano le redini della mia vita, ed io, dal mio canto, non avevo obiettato. Sapevo di potermi fidare ciecamente di lei, avrei anche potuto mettere nelle sue mani tutta la mia vita -come in pratica stavo facendo- ed ero certa che non avrebbe fatto altro che custodirla; e di questo, ne ero altrettanto sicura, l'avrei ringraziata per tutta la vita.

Ad un tratto la segretaria si mosse velocemente, prendendo quei fogli e riuscendo a catturare di nuovo la mia attenzione. Vi diede una veloce, fredda occhiata, prima di ricominciare nuovamente a fissare lo schermo luminoso situato davanti a sé, non curandosi minimamente della mia presenza.

«Da qui vada a sinistra, prosegua infondo fino all'ascensore. Lo studio si trova al ventitreesimo piano, corridoio a destra, ultima porta sulla sinistra.» Parlò velocemente, in modo meccanico, senza mai scollare gli occhi dal computer.

«Grazie...» mormorai, quasi in maniera impercettibile, per dopo voltarmi e iniziare ad andarmene nella direzione indicatami dalla donna.

Più avanzavo, più mi convincevo del fatto che non fossi io a comandare le mie gambe. Arrivai persino a pensare che qualcuno stesse tirando i fili dall'alto per farmi muovere. Era come se, da quando avevo fatto il mio miserabile ingresso in quell'edificio dalla soffocante raffinatezza, il mio cervello si fosse staccato dal corpo, come se quest'ultimo stesse agendo per conto suo, probabilmente guidato da una forza sovrannaturale, da un non so che di mistico.

Con immane fatica, giunsi fino alle imponenti porte marmoree dell'ascensore. Feci un profondo respiro nel vano tentativo di infondermi un po' di quel coraggio che, momentaneamente, sembrava essere scomparso dalla mia persona, mentre le pareti della mia mente continuavano ad essere martellate dalla stessa, fatidica domanda irrequieta: stavo effettivamente facendo la cosa giusta?

Spinta sempre da quell'ormai familiare forza superiore a me sconosciuta, mi decisi, dopo quelli che parvero anni -in cui non avevo fatto altro che stare impalata difronte alle porte ancora serrate-, a pigiare il bottone per chiamare l'ascensore, senza però riuscire a mascherare quell'evidente tremore di titubanza che aveva preso possesso dei miei movimenti.
Entrai nell'ascensore, e premetti il tasto che indicava il piano al quale mi sarei dovuta recare. Non appena le porte si chiusero alle mie spalle con un tonfo sordo, mi appoggiai alle pareti fredde di quell'abitacolo fin troppo stretto per i miei gusti, rilasciando un enorme sospiro di frustrazione che non sapevo di star trattenendo. Tutto questo mi sembrava così assurdo. Trovavo assurdo il fatto che mi trovassi qui e, trovavo ancora più assurda la mia incapacità di riuscire a metabolizzare quanto era accaduto. Ero sempre stata una persona realista, una persona con i piedi per terra, in grado di ragionare con la mia testa e di prendere le scelte giuste. Non avevo mai avuto bisogno dell'aiuto di nessuno. Eppure, da un momento all'altro, tutto sembrava essere cambiato.

Il leggero ma udibile rumore dell'ascensore che era giunto a destinazione bastò a farmi risvegliare da quei pensieri, e mi affrettai ad uscire da quello spazio soffocante. Presi a guardarmi intorno, incamminandomi e perdendomi a contemplare le proporzioni mastodontiche di quell'edificio. Avanzai nel lungo corridoio mentre continuavo a ripetermi mentalmente le indicazioni che la receptionist mi aveva precedentemente dato. Fu così che arrivai dinnanzi all'ultima porta sulla sinistra, corridoio a destra, secondo piano. Mi soffermai a guardare la placchetta in oro che vi era posta al centro, brillante in tutta la sua lucentezza, e che risaltava perfettamente a contrasto con lo scuro legno d'ebano: "Dottoressa Clarke, laureata in psicologia".
Rabbrividii nel leggere quelle parole. Probabilmente se qualcuno poco tempo fa mi avesse detto che in futuro -anzi, ben presto- sarei dovuta andare da una psicologa, gli avrei sicuramente riso in faccia. Del resto era solo quando ti ritrovavi faccia a faccia con ciò che non ti saresti mai aspettato che comprendevi la precarietà di quelle che, fino all'attivo prima, parevano certezze, pilastri sicuri su cui si fondava la tua vita, ma che, invece, inevitabilmente, a quel punto si rivelavano solo amare illusioni. Illusioni di una vita che io avevo trascorso nella più totale normalità, circondata dall'affetto delle persone che amavo, in quella casa in cui avevo sempre vissuto, ma che, dall'oggi al domani, era diventata più vuota del previsto. La normalità tipica di una ragazza poco più che maggiorenne e spensierata, certa di essere sempre stata una persona normale, le cui normali abitudini erano scandite da orari altrettanto normali, e che provava sentimenti consoni alla sua età; quella stessa ragazza normale che, però, dall'oggi al domani si  era ritrovata a sentirsi tutto tranne che tale. Quella stessa ragazza di appena diciotto anni che, da un momento all'altro, aveva visto le sue certezze venire spazzate via in una giornata all'apparenza normale, come se quest'ultime, in realtà, non fossero mai state altro che castelli di sabbia, fragili proiezioni di una mente adolescenziale che finora non aveva fatto altro che tessere insulse sicurezze sulle spoglie di quella vita normale che, alla fine, a sua insaputa, sarebbe finita per diventare tutt'altro che tale. Quella stessa ragazza che, dall'oggi al domani, per queste ragioni, con le sue sicurezze ormai tramutate nel contrario e le sue dannatissime paure, in quel momento si ritrovava proprio dov'era, dove non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi, nonché davanti alla porta di uno studio psicologico.

Sins » h.s Where stories live. Discover now