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<<Stai bene!?>> mi domanda Theo squadrandomi da capo a piedi.
Annuisco e sospiro di sollievo, pensando al pericolo appena scampato.
Leghiamo accuratamente i tre uomini con delle corde scovate per puro caso, nonché per pura fortuna, poi continuiamo per il nostro cammino.
Certo avremmo potuto ucciderli, ma penso che dopo essere stati battuti da una ragazzina abbiano imparato la lezione.
La quantità di paura e di adrenalina che mi scorre nelle vene è impressionante, mi sento più viva che mai, anche se ancora un po' scossa dalle parole spregevoli riferitemi da quei farabutti.
È come se le mie possibilità di sopravvivere fossero aumentate in un sol colpo e questo mi rende più che lieta.

Ci incamminiamo verso l'uscita, sicuri che le sorprese in questo magazzino siano finite, ma non per me a quanto pare.
Questo posto è un labirinto di scatoloni ed enormi casse di legno e perdersi di vista è più frequente di quanto si possa immaginare.
Giacomo sfrutta questo fatto per farmi fermare trattenendomi per il cappuccio della felpa e prendermi da parte, mentre gli altri continuano il loro percorso, non curanti della nostra assenza.
Senza che abbia il tempo di girarmi o di domandare il perché di questa azione mi abbraccia da dietro, stringendomi così forte da farmi mancare il respiro.
Pur essendo molto alto, riesce ad appoggiare il mento sulla mia spalla, i boccoli scuri ormai troppo lunghi vanno a solleticarmi il collo lasciato scoperto dagli indumenti, accompagnati dal suo caldo respiro, più rapido della norma.
Tira su col naso un paio di volte, stringendomi ancora di più.
Le parole che pronuncia in seguito con voce bassa e roca mi fanno tremare.
<<Ho avuto paura di perderti.>>
Un sospiro tremante abbandona le sue labbra, come se stesse trattenendo le lacrime, come se volesse dire altre mille cose ma senza il vero coraggio di esporle.
Allenta di poco la presa, così ne approfitto per voltarmi e abbracciarlo a mia volta, cogliendolo di sorpresa, ma dopo pochi attimi si riprende, tornando a stringermi.
Una sensazione familiare mi inebria, il suo profumo mi avvolge, donandomi in pochi attimi un ristorante senso di benessere.
Ora mi sento al sicuro, ora mi sento a casa.
<<Non aver paura, non mi perderai.>> dico cercando di rassicurarlo.

Mi viene quasi voglia di prenderlo in giro per tutte quelle volte in cui si è comportato in modo scorbutico e saccente, mentre ora ha più le sembianze di un cucciolo abbandonato.
Quante volte ci mostriamo forti, mentre in realtà soffriamo dentro, quante volte ci dimostriamo imperturbabili, quando in realtà siamo fragili come delle piccole foglie in autunno.
Quante volte mascheriamo la nostra vera essenza, coprendola con strati e strati di bugie e mezze verità, quando l'unica cosa che vorremmo veramente è essere liberi.
Liberi di osare, liberi di provare qualunque tipo di emozione, liberi di comunicare i nostri pensieri e le nostre ragioni.
Liberi di essere noi stessi, liberi dalla paura di esporci e di essere giudicati.
Liberi di amare indistintamente dal sesso o dall'età, liberi di sperimentare, liberi di ragionare come adulti ma giocare come bambini.
Essere liberi, come un uccello è libero di volare nell'immenso cielo, come un pesce è libero di nuotare nel grande mare, entrambi non curanti dei propri timori e dei propri limiti.
Essere semplicemente liberi di vivere come più ci aggrada, è forse questo il desiderio più recondito meglio custodito dalla società umana?

<<Ucciderei per te, perciò evita di fare altre cazzate.>> articola con la voce bassa e ostruita dall'incavo del mio collo in cui la sua faccia è sepolta.
<<Essere presa in ostaggio è forse una cazzata?>> ridacchio accarezzandogli il capo.
Lui si scosta per guardarmi in viso, una mano va a stringermi una spalla, l'altra finisce lene sul mio volto.
<<Non mettermi alla prova, non ci tengo a trasformarmi in un pluriomicida a causa tua.>> ammette ridacchiando di sfuggita.
Ci sorridiamo a vicenda e ancora una volta mi perdo nelle tenebre dei suoi occhi.
Sono scuri, nascondono la pupilla come loro solito, non ti permettono di scovarla, poiché accerchiata da tutta quella oscurità, ma questa volta riesco a vedere una luce diversa bagnarli.
Sarà forse colpa dei lucernari che illuminano il magazzino, o è forse colpa del modo in cui osserva bramoso le mie labbra.
Le sue non sono più curvate verso l'alto, sono socchiuse, la lingua passa fugace su di esse, inumidendole.
<<Non farlo.>> mi intima tornando a fissarmi negli occhi con una strana e inusuale scintilla di desiderio.
<<Che cosa?>> domando io con una voce che non sembra mia.
<<Non morderti il labbro in quel modo. Lo fai troppo spesso e troppo spesso mi devo trattenere dal compiere qualcosa di estremamente compromettente, ma questa volta non so se ne sarò capace.>> confessa facendomi provare una mostruosa scarica di brama e di eccitazione.
Effettivamente, mi rendo conto che lo stavo facendo senza accorgermene, essendosi trasformato ormai in un gesto involontario.
Il pensiero degli altri che molto probabilmente a quest'ora si saranno accorti della nostra assenza riesce a riscuotermi un minimo, facendo aprire un piccolo spiraglio in questa assurda bolla di fermento e provocazione che si è creata intorno a noi, aiutandomi a ricordare la realtà.
<<Dovremmo andare...>> sussurro non sicura di volerlo fare per davvero.
<<Già.>> mi risponde lui ma come me, senza muoversi di un millimetro.
Un'idea maliziosa mi passa per la testa, facendomi alzare un angolo della bocca, la voglia di provocarlo e di fargli perdere i freni inibitori in continuo aumento.
Cerco di sfidarlo con lo sguardo, mentre lentamente mi mordo il labbro, affondando con forza i denti nella carne, nella speranza di risvegliarmi da questa specie di sogno proibito.
Non che mi dispiaccia questa situazione, ma abbiamo una guerra in corso da vincere.
Peccato che Giacomo non la pensi allo stesso modo.
<<Ti avevo avvertita.>> dice per poi fiondarsi famelico sulle mie labbra.
Non lasciamo spazio all'autocontrollo o alla tenerezza, semplice e puro desiderio scorre nelle vene di entrambi.
Le lingue si cercano, trovandosi dopo poco, le bocche si scontrano, mandandomi scariche elettriche lungo tutto il corpo.
È una sensazione anomala ma estremamente eccitante e passerei in questo modo il resto della mia vita, sempre se la voce di Stiles non mi distraesse.

<<Ragazzi, dove siete?>> ci cerca il ragazzo a solo qualche metro da noi.
Subito ci stacchiamo e impacciati cerchiamo di sistemarci al meglio, ma le labbra arrossate, i vestiti stropicciati e i capelli spettinati non lasciano granché all'immaginazione.
<<Eccoci, ci eravamo persi.>> mente il moro grattandosi il capo, appena raggiunto l'umano. Stiles storce il naso, scuotendo leggermente la testa e alzando gli occhi al cielo.
<<Riesco a capire che stai mentendo anche senza essere un lupo mannaro.>> lo schernisce alzando una seconda volta gli occhi al soffitto, poi il suo sguardo passa sulla mia persona.
Sorrido imbarazzata, probabilmente arrossendo, notando poi i lineamenti tenuti rigidi del suo volto addolcirsi.
<<Muovetevi, abbiamo altri quattro capannoni da perquisire.>> annuncia facendomi l'occhiolino e avviandosi verso l'uscita, fortunatamente evitando commenti sgradevoli.
Lo seguiamo senza preferire altra parola, mortificati per aver intralciato il normale svolgimento della missione.
<<Ah, Giacomo.>> lo richiama l'umano.
<<Smettila di sorridere come un ebete.>>

In Another WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora